17 lug 2009

Immagini dal Viaggio di Francesco Orfici


Un organismo per fare società e politica di Paolo Cacciari

Chi più, chi meno, ognuno di noi è geloso delle proprie appartenenze, è affezionato alla propria storia politica, al fondo, è convinto di avere la soluzione in tasca. Molto del nostro tempo lo spendiamo cercando di convincerci a vicenda.
Siamo arrivati al punto di preferire la sconfitta certa comune piuttosto che correre il rischio di vedere vincere l'altro. Non è bello ma bisogna capirne i motivi. Altrimenti anche i più genuini e generosi appelli all'unità, i vari e ripetuti tentativi di associazione e federazione sono destinati a rimanere vox clamantis in deserto.
Bisogna ammettere che le differenze trovano ragione in culture e visioni diverse, spesso molto diverse.
I comunismi sono stati e saranno sempre molti. Gli antagonismi anticapitalisti sono ancora più numerosi. Come fare a stabilire qual è quello «giusto», più efficace e vincente? Il nostro o il loro?
È evidente che così non se ne va fuori. Anche il più modesto risultato elettorale, il più striminzito sciopero, il più malriuscito corteo, il meno diffuso giornale... potrà essere rivendicato come «un buon inizio».
La nostra generazione politica (diciamo quella che si è formata tra il '68 e il '77) è prigioniera di una cultura politica competitiva e aggressiva, che pretende di «egemonizzare» chiunque esprima visioni differenti dalle nostre. Contrariamente a quanto predichiamo in pubblico (una società di liberi ed eguali) applichiamo acriticamente al nostro interno i metodi peggiori che abbiamo imparato vivendo nella società borghese: tra questi il «principio di maggioranza». Ma poiché (come giustamente spiegava Bakunin) le decisioni non possono che valere per chi le prende, alle minoranze non è data altra alternativa che ubbidire o allontanarsi. Da qui la straordinaria propensione alla scissione delle formazioni politiche di sinistra. Per di più, come ci insegnano gli scienziati dell'organizzazione, esiste un principio di sopravvivenza che trasforma i «gruppi dirigenti», anche della più piccola e scalcinata organizzazione, in una oligarchia.

Noi, gente di sinistra, non possiamo avere altri legami e motivi di stare assieme se non la condivisione di idee.
Per Ekkehart Krippendorff: «Il movente originario della sinistra sta in una ribellione morale». Quindi, un processo di compresenze, convergenze e accumunamento tra diverse soggettività antagoniste, spiriti critici, coscienze dotate di spirito di giustizia... o come altro preferiamo chiamarci, avviene per catarsi esterna sotto la forza di un attrattore ordinatore generale (il comparire di un soggetto rivoluzionario in sé e per sé, l'esplodere della contraddizione principale, l'affermazione di un modello di ordinamento sociale assunto come guida), ma non è questo il nostro caso storico, oppure bisogna cercare dei sistemi di collaborazione, di mutualità, di reciproco appoggio utili a tutti e a ciascuno. Per questo le regole (vedi proposte di Marcon e Pianta, formulate prima e dopo le elezioni) assumono un valore decisivo.
Del resto, come diceva già quel vecchio seminudo all'arcolaio, tra mezzi e fini esiste la stessa connessione inviolabile che vi è tra il seme e la pianta. Penso ad un agire insieme per campagne di iniziative (quelle elettorali sono solo alcune tra le altre) su piattaforme elaborate con modalità partecipate, con auditing e convention pubbliche, con l'uso di delegati sempre revocabili ma titolari di una propria inalienabile libertà di coscienza. Penso ad un sistema di connessioni, collaborazioni, coordinamenti multidimensionali che costituiscono spazi pubblici e forme organizzate stabili dell'agire politico. Penso alla fine di ogni separazione tra lavoro sociale e lavoro di rappresentanza.
Non un «incontro a metà strada» e più che un «intreccio» tra pratiche sociali e rappresentanze, tra spontaneità insorgente e mediazione politica, ma una forma di autoriconoscimento e autodeterminazione di soggetti capaci assieme di conflitto e di contrattazione, capaci di «fare società» perché sanno districarsi tra le istituzioni e capaci di «fare politica» perché sono parti di società.
Questa nuovo «organismo» lo chiameremo ancora partito (anche se variamente aggettivato: politico, sociale, di massa, cartello elettorale, federazione, ecc.) o in qualche altro modo? Non nascondo che se riuscissimo a distinguerlo dagli altri e da tutti quelli che ci sono stati fino ad oggi anche nel nome, oltre che nei modi d'essere e nelle modalità di funzionamento, sarebbe già un gran bel passo avanti.

Fintecna (da Wikipedia)



La Legge 77/09, evoluzione del cosiddetto Decreto Abruzzo che contiene norme circa la ricostruzione in Abruzzo prevede che Fintecna debba finanziare il cittadino abruzzese che richieda un contributo per la ricostruzione o la riparazione della sua casa o l' acquisto di una nuova.
Fintecna, o una società sua controllata, su richiesta del soggetto di cui sopra, a patto che non sia moroso, può subentrare nei finanziamenti preesistenti che il soggetto aveva stipulato precedentemente e che aveva garantito con immobili adibiti ad abitazione principale che sono andati distrutti. La condizione è che però il debito non superi i 150.000 euro.
Fintecna, quindi, subentra al posto del cittadino nella gestione del mutuo ma il soggetto cede a Fintecna il diritto di proprietà sull'abitazione.
Il prezzo della cessione, stabilito dall'Agenzia del Territorio, è versato al soggetto creditore ed è detratto dal debito residuo.
I comuni, entro il 28 giugno 2010 approveranno piani di recupero e riutilizzazione delle aree acquisite da Fintecna spa, allo scopo di favorire la ripresa delle attività economiche e sociali.
Entro il 2013, essi possono acquistare da Fintecna, la proprietà delle aree non ancora edificate, che l'azienda aveva acquistato: i comuni acquisteranno le zone ad un prezzo pari a quello corrisposto inizialmente dalla finanziaria statale, con la sola maggiorazione degli interessi legali.

piano paesistico



...al villan non far sapere, quant'è bello il pian....

via delle Bone Novelle

.......Andammo ad abitare in Via delle Bone (“bone”) Novelle.
Che nome poetico! Da lì erano passati, qualche secolo prima, i messaggeri che annunciavano alla città chissà quale vittoria! E la cosa era rimasta scolpita nel nome di quella strada.
Eravamo al civico 15, portoncino con cornici arrotondate in pietra; balcone su strada, lungo e stretto; persiane verdi.
La casa era vastissima, frutto della aggregazione di più appartamenti e corpi edilizi. Molte stanze e diverse parti della casa erano inesplorate e molto paurose da frequentare. Altre avevano strambe destinazioni d’uso: nella “stanza del telefono” era stato montato solamente il telefono a muro, il primo che avevamo posseduto, numero 4842, senza alcun altro arredo.
Nella “camera buia”, priva di finestre, era conservata la legna e il carbone per la cucina e le stufe. La “camera vuota“ era usata per fare qualche gioco, ma era rigorosamente vuota. La cucina era enorme, c’era una stufa economica a legna, col tubo dei fumi che l’attraversava, ma, nonostante l'ampiezza del locale, l’acquaio era sistemato in un grottino lì a fianco, in basso, e da lì si scendeva ancora, a una profonda, buissima e inesplorata cantina.
Al piano di sopra c’erano stanze disabitate, con qualche mobile polveroso lasciato chissà da chi.
Lì recuperammo 2 enormi piatti di ceramica di Castelli, da parete, che ci hanno poi seguito ovunque.
C’era una scaletta di legno che saliva al sottotetto e lì c’erano le galline che ci davano le uova. La casa era freddissima; d'inverno, nel letto veniva messo un “prete” di legno, una struttura a telaio di legno nella quale veniva sistemato un braciere. Oppure si andava a dormire, abbracciandosi una borsa dell’acqua calda.
Abitammo lì sino al 1960. In quella casa arrivò il primo televisore e vedemmo le Olimpiadi di Roma.
....... prendere quotidianamente il latte, portando la bottiglia vuota e riportandola piena; andare al tabaccaio, alla posta, dal giornalaio.
Gran parte di queste funzioni erano localizzate nella vicina piazza del mercato detta anche piazza duomo o nelle stradine limitrofe. Lì c’era anche una botteguccia che vendeva generi strani: le candele, lo zucchero sfuso, e il famigerato ghiaccio a colonna, il cui trasporto da lì a casa costituiva una tormentosa incombenza estiva che mi era riservata.

..... S.Marciano, dove andavo al catechismo, passando per la sagrestia del severo parroco che però ci dava per merenda meravigliosi formaggini distribuiti dalla POA.
Lì, vicino alla piazza e alla fontana, c’era uno spaventoso negozietto dove una vecchia sdentata e coperta di fuliggine vendeva carbone e varechina .....

16 lug 2009

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

effetto ottico

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L'Aquila e i "luoghi dell'anima" di Carlo Grante

Domenica 5 aprile, di ritorno a casa da un’indimenticabile pomeridiana teatrale a Roma – Albertazzi al Ghione – ero pronto a partire per far visita a mia madre, nella cui dimora aquilana alla "Fontana Luminosa" un mio pianoforte stanzia pazientemente chiedendomi di non essere ignorato troppo a lungo. Decisi di ritardare la partenza. Il giorno dopo, lunedì 6 aprile, mi sarei nuovamente immerso per alcune ore in quel piccolo spazio in cui il pianista studia tantissimo per poter fare il pianista. Nell’appartamento dei miei genitori ho speso le innumerevoli ore indispensabili a forgiare la mia attuale professione, lì ho preparato gran parte dei miei concerti e incisioni discografiche e, quando vi facevo ritorno, mi ritrovavo magicamente immerso in un’atmosfera di introspezione e produttività. Quel lunedì 6 aprile avrei ripreso a studiare alle nove di mattina e, dalla finestra alla mia sinistra, si sarebbero nuovamente stagliate le immagini di tetti antichi, visitati dai molti uccelli che tradizionalmente e stagionalmente abitavano la città; quei tetti erano lo sfondo per le innumerevoli ore trascorse alla tastiera del mio pianoforte, il pezzo di “mobilio” che più testardamente ha resistito alla fatale scossa che ha ridotto invece in macerie parte di quello sfondo magico, stroncando i destini di chi viveva in quelle dimore: tanto fragili quanto inviolabilmente forti, invece, rimangono le alte montagne che tutt’intorno incorniciano la vallata in cui sorge la cittadina.
Essere aquilano, sembra un paradosso sociologico, comporta un’identità che si incarna soprattutto nel luogo e nella sua specifica, raffinata e articolata architettura urbana, nelle tradizioni che a questo luogo sono ancorate in una memoria collettiva.
L’aquilanità è soprattutto il modus vivendi che questo palcoscenico cittadino sollecita grazie alle sue caratteristiche, che vengono vissute frontalmente, quotidianamente dai suoi abitanti; l’aquilano conosce la sua città metro per metro, ogni piccolo spazio è un microcosmo e una storia cui il singolo è raramente estraneo. Non c’è zona che non sia memore di una situazione, per quanto banale o transitoria, oppure di un ricordo intenso, esaltante o doloroso.
I ”Quattro Cantoni”, “Capo Piazza” e “Pie' di Piazza” – gangli sociali e fondamentali punti di ritrovo - i “Portici” (ognuna delle cui colonne si potrebbe numerare e intitolare al gruppo particolare di ragazzotti che vi si appoggiavano, i cui interessi comuni davano letteralmente il nome alla colonna), e così via, con un catalogo lunghissimo di nomi, luoghi, lontani pochi metri l’uno dall’altro ma che rappresentavano per noi aquilani un viaggio attraverso il “corpo” della città: le sue “membra” erano cariche di metafora e storia. Erano i luoghi dell’anima.
Quando si cresce in un piccolo centro denso di particolari e di arte si è facilmente inclini a soffermarsi ossessivamente sul dettaglio; così le cose “diventano tristi e complicate”, fa dire Thomas Mann al suo Tonio Kroeger, ma il cittadino diventa artista del luogo che abita e non riuscirà a far meno della dimensione intima e riflessiva che la sua città natìa ha rappresentato da sempre, che continuerà a far sentire il suo richiamo per la vita.
Una città al contempo ricca di storia, dal medioevo ad oggi, incuneata in uno scenario e una cultura montani, è molto singolare, difficile da immaginare, in verità.
Queste due componenti di italiana provincialità e cultura da montanari contribuiscono a rendere l’aquilano orgoglioso, schivo e autosufficiente, ma anche generoso e aperto alla solidarietà della “cordata” e della condivisione, che diventa imbattibile soprattutto quando si è costretti a fronteggiare l’invincibile violenza della natura. La dignità con cui i miei concittadini stanno affrontando queste durissime ore è quella che incontri nelle culture montane, la loro compostezza e reciproca empatia è quella di chi si ristora nell’intimità e serenità del rifugio, che si rinfranca narrando con enfasi le gesta delle proprie avventure e che gradisce il clima freddo perché fa venir voglia di riscaldare l’ambiente – e con questo il cuore degli amici - col calore del camino acceso, ma soprattutto del proprio affetto. Quando a questo sostrato di cultura locale si aggiungono le grandi operazioni di diffusione culturale ed educativa (fra cui la musica classica), una grande attenzione alla tradizione e qualità gastronomica, all’autostima cittadina derivante da un grande amore per la città, alla cui bellezza architettonica si è voluto partecipare attraverso varie generazioni di famiglie, patrizie e non, a parte le scellerate speculazioni edilizie che finalmente non tarderanno ad assurgere agli onori di una cronaca vergognosa, si ha una qualche idea di cosa fosse – e sarà di nuovo, mi auguro davvero molto presto – L’Aquila.
Per gli amici "...bella me".

La Movida dei vecchi

La giornata è già cominciata male. Il nostro vecchio primario è venuto in visita come al solito con il suo pacco di cartelle cliniche ed esami diagnostici perché alle prese con il suo naturale decadimento fisico legato all'anagrafe. Rifiuta di prendere atto del suo stato ed è alla disperata ricerca di una diagnosi misteriosa e raffinata a cui pervenire con TAC, PET SPET, RM e così via. Purtroppo il discorso è scivolato impercettibilmente sul nano e il risultato è stata una zuffa verbale . Siamo state accusate, io e Franca, di essere prevenute e non voler vedere la grandezza anzi la statura politica di questo superuomo in grado di risolvere in quattro e quattro otto problemi irrisolvibili per gli altri. Le C.A.S.E dell'Aquila, l'organizzazione del G8 e la gestione globale del terremoto ne sono un fulgido esempio. Ho percepito chiaramente che questo tipo di italiano, per il resto onesto, anzi probo, mite e riflessivo, dopo aver subito per anni le pastoie burocratiche e la frustrazione di essere stato messo da parte nella gestione della cosa pubblica dal controllo demagogico degli apparati di partito e di sindacato vede nello smantellamento delle regole precedenti, peraltro sempre aggirate e mai rispettate, un elemento di rinnovamento e di libertà, popolo delle libertà appunto.
Smantella la giustizia? Ma la giustizia era ingiusta e i PM hanno rovinato tanti galantuomini anche di loro conoscenza diretta. Limita le libertà individuali? Ma la libertà era diventata licenza. Annulla le procedure degli appalti con la scusa dell'emergenza? Ma gli appalti erano già tutti truccati. Smantella la scuola pubblica? Ma la scuola pubblica produceva solo ignoranti. Va con le puttane? Ma le puttane sono per strada per colpa della Merlin. E Togliatti e la Jotti allora? Respinge gli immigrati? Ci aveva già provato Prodi senza riuscirci. E così via discorrendo. La Costituzione? E' vecchia, nata dall'antifascismo viscerale del dopoguerra e scritta da comunisti. Va cambiata , non rispetta più la norma fondante del popolo italiano. Il popolo italiano alla fine di tutto ho capito di cosa necessita. Di Movida.

15 lug 2009

Dopo L’Aquila; speciale G2 di Massimo Giuliani

Dunque, ristabilito l’ordine momentaneamente turbato dalla conviviale rimpatriata dei capi di stato, abbiamo finalmente celebrato fra L’Aquila e Coppito l’atteso G2 l’incontro al vertice tra il sottoscritto e Adriano Di Barba da tempo auspicato, programmato, rinviato e finalmente avvenuto domenica 12 luglio.


Consiglio a tutti di farsi un giro per le zone disastrate accompagnati da un esperto che sa cosa guardare (Adriano è un ingegnere e per di più ha una lunga esperienza tra il Friuli e la Basilicata).
Da domenica ne so di più su cose come i “giunti sismici” (così come nei giorni precedenti, osservando a fianco di un’altra guida alcuni crolli nei paesi, mi ero fatto una cultura sulla differenza tra la pietra alluvionale e la pietra squadrata).


Come ogni summit, anche questo ha prodotto conclusioni e punti di partenza.
È perciò che questo post comincia come quelle barzellette in cui c’è il tizio che esordisce: “ho una notizia buona e una cattiva…”. Dal G2 di buone ne ho portate a casa un paio. Comincio da quelle.
La prima buona notizia è che c’è Internet. Adriano è nato a L’Aquila e poi partito anche lui, e la cosa a cui non si riesce a credere è che abbiamo frequentato stessi posti, stesse persone e chissà quante volte ci siamo incrociati senza saperlo: poi ci siamo incontrati due mesi fa in Internet e abbiamo cominciato a pensare delle cose insieme. Dunque domenica avevamo in programma di incontrarci per andare a incontrare gli scout che prestano servizio nella tendopoli di Coppito e per tornare a dare un’occhiata a quel poco che è dato di visitare a L’Aquila.
Peraltro sabato mattina mi spostavo attraverso la Valle dell’Aterno, quasi isolato col cellulare e senza connessione Internet, ed ho ricevuto miracolosamente un messaggio di Maddalena Mapelli, che mi avvisava che il nostro OUT Facebook sul terremoto, dopo essere stato rilanciato da vari blog e persino dal TG di Rainews 24, era citato anche su L’Unità nella rubrica di Marco Rovelli.
Ecco, la buona notizia è che sin dalla notte del 6 aprile la Rete è stata un piccolo grande aiuto e che oggi permette di tenersi in contatto, ritrovarsi e anche far penetrare informazioni e punti di vista differenti.
Dunque sono arrivato a L’Aquila domenica mattina, e Adriano esisteva in carne ed ossa!

La seconda buona notizia è che ci sono i boy scout. Sul serio. Li ho incontrati nella tendopoli di Coppito (aveva tenuto i contatti Adriano), scout del CNGEI di parecchie città d’Italia. Sono gli stessi che tempo prima hanno contribuito in modo insostituibile a salvare il patrimonio della Biblioteca della Facoltà di Lettere, a Palazzo Camponeschi.
Comunicano col mondo esterno attraverso un sito e una pagina Facebook, anche se nei giorni del G8 le connessioni wireless sono state oscurate.

Fabio Andreassi, Capo GruppoScout, è stato il nostro “Virgilio” a Coppito.

Fanno un gran lavoro e combattono con i limiti imposti dal turn over (si tratta di volontari che hanno altrove scuola, università, lavoro, famiglia), ma il campo non può fare a meno di loro. Alcuni di loro passeranno a Coppito gran parte dell’estate. Abbiamo preso i loro recapiti e promesso che resteremo in contatto. Abbiamo anche provato a renderci utili dando loro qualche dritta su come rendere più efficaci gli strumenti di Internet (Adriano l’ha fatto con l’autorevolezza del vecchio capo scout).
Le necessità quotidiane di un campo sono spesso molto più terra terra di quanto si pensi. Ad esempio, a Coppito c’era bisogno di accappatoi e di tanta naftalina, per conservare gli indumenti quando cambia il clima. Dal cellulare ho digitato sulla mia bacheca Facebook “c’è bisogno di accappatoi”. In dieci minuti arriva una risposta: forse un po’ ne abbiamo! Il giorno dopo mi ha chiamato un amico con un’informazione su come trovare quelli che mancano.
Nelle scorse ore tutto è arrivato a Coppito. Sì, meno male che c’è Internet.

Non tutto è stato lieto nella nostra visita: alle 10,40 è arrivata l’ennesima scossa del quarto grado Richter, dopo una notte per niente serena. Sui volti delle persone, la stessa paura che si rinnova continuamente da oltre tre mesi.
Lo abbiamo capito anche dalla signora che ci è corsa incontro per raccontarci che stava lavorando alla sua macchina da cucire (avete presente quelle macchine di una volta, tutte in metallo col mobiletto pesante di legno?) quando la macchina le si è mossa sotto le mani è si è spostata. E poi per parlarci della notte maledetta, quando dormiva nell’auto dalla scossa delle undici e mezza e la sua vettura ha cominciato a saltare su e giù. E si è salvata dal crollo della sua vecchia casa. Lo stesso angosciato bisogno di raccontare, come se il tempo in questi mesi non fosse mai passato.
E qui arriva la notizia cattiva…
…Perché la cattiva notizia è che il tempo passa.
Dev’esserci una ragione sacrosanta, che ha a che fare con una specie di meccanismo protettivo, per cui le persone, quando si sentono fortemente interpellate da una tragedia, dopo un certo periodo hanno bisogno di metterla in prospettiva, di ridurne l’impatto, di scrollarsela di dosso.
Probabilmente non esiste un solo piccolo o grande dramma umano di cui non si sia detto prima o poi: “ma in fondo non è andata così”; o “dai, non è poi così grave”, oppure “beh, tutto è bene quel che finisce bene, no?”.
È probabile che anche il grande frastuono mediatico sul G8 abbia contribuito a questo: in fondo cosa fare di più, dopo che addirittura i potenti del mondo si sono spostati per andare a vedere da vicino le macerie?
Anche la TV partecipa a questo sospiro di sollievo collettivo: la Carlucci che dalla Piazza Duomo, accanto a Baglioni, cinguetta qualcosa su “le gru di tutti i cantieri della ricostruzione che sono aperti”, rasserena tutti quelli che si sono commossi e hanno trepidato.
Ma le gru che sovrastano la piazza non hanno a che fare con la ricostruzione, bensì con la messa in sicurezza di tamburo e cupola della chiesa delle Anime Sante e di quel che resta della Cattedrale.
Roba che in un terremoto è ordinaria amministrazione dal giorno dopo.
Niente ricostruzione. Né in Piazza Duomo, né altrove. Però, se fate due chiacchiere al supermercato o in ufficio in qualunque altra città d’Italia, qua e là troverete chi commenterà che in fondo il peggio è passato, e le case le stanno ricostruendo, e d’altra parte non sarà mica il primo terremoto in Italia, e poi pensa anche a Viareggio, anche lì ce la stanno facendo, no? E che se qualcuno lì ha ancora da protestare, non vede nemmeno che in nessun luogo prima d’ora hanno fatto tanto come per loro!
L’impressione è che l’ondata di solidarietà e sgomento stia passando.
I media riferiscono con sufficienza le proteste e le manifestazioni degli aquilani, che appaiono dai telegiornali una manica di esigenti rompiscatole. D’altra parte, non gli stanno ricostruendo le case provvisorie? Cos’avranno ancora da lamentarsi?

Ho dato un’occhiata al cantiere di Bazzano, in cui stanno realizzando un certo numero di residenze provvisorie. È un intervento colossale, che cambia per sempre (per sempre!) la faccia del territorio e la carta geografica. E che fa venire da domandarsi se una volta che i terremotati saranno accasati lì, qualcuno vorrà ancora mettere mano ai centri abitati distrutti.
Questi complessi spesso contengono molta più gente che i residenti dei paesi in cui sorgeranno. Questo comporterà che molta gente sarà trasferita d’autorità lontano dal proprio paese, dagli animali, dai campi, dal lavoro.
Fra gli abitanti di questi paesi si sente la preoccupazione per gli “altri”, che arriveranno nelle loro case e che sono diversi da loro. Quelli che magari abitavano dieci chilometri più in là. Così, mentre l’attenzione scema ed aumenta il fastidio per questi terremotati che vogliono la luna, insieme al paesaggio e al territorio saranno ridisegnate, a tavolino e per decreto, intere comunità.

“Che succede dopo il G8″: un servizio che durante il G2 ho visto in TV su Rainews 24, che continua ad essere l’unica emittente che dedica un’attenzione profonda e critica al post-terremoto.

14 lug 2009

visto da Roma


l'essenziale è invisibile agli occhi




http://www.facebook.com/inbox/?drop&ref=mb#/video/video.php?v=1156772250064&ref=mf

eccofatto!


Melograno (PUNICA GRANATUM)



Il nome corrente deriva dal latino: malus, mela e granatum (dal nome dell'insetto Granatum tinctorium, dal quale gli antichi estraevano il forte color rosso per la tintura di vasellame e vestiti).
Il nome Punica deriva dalla credenza, ripresa dal grande Linneo, che tale pianta originasse dall'Africa, in particolare dalla terra di Cartagine (e chi non ricorda le guerre Puniche?).
Il colore del legno è bruno; le foglie sono lanceolate e di un bel colore verde intenso, su cui spiccano, di un bellissimo rosso-granato, i fiori, che a Giugno sono al massimo della loro espressione e danno origine a frutti globosi che, aperti, fanno vedere i semi rossi, vitrei, alloggiati in un tessuto di contenimento fibroso e giallognolo.
In Turchia, quando una donna si sposa, getta per terra un melograno e i semi che si spargono per terra sono il simbolo delle fertilità sperata dall'unione matrimoniale.
Le nostre stadere hanno il contrappeso a forma di melograno, ed è chiamato - guarda caso - romano : in Portoghese, roman significa melograno.

Il melograno è della varietà non coltivata, per cui è più piccolo del normale.
Quei melograni coltivati, invece, sono più grandi ed hanno un frutto ben più grande, il cui sapore, però, non è molto superiore, come qualità.
Alle proprietà già note del melograno se ne aggiungono altre. Gli usi tradizionali del melograno hanno radici molto antiche. Ippocrate ne descrive le proprietà e parla del melograno come di un vero e proprio rimedio medicamentoso. Nell’antica Grecia, infatti, il melograno era prescritto come antielmintico, antinfiammatorio e per combattere i casi di diarrea cronica.
Nella medicina tradizionale georgiana, invece, il melograno veniva utilizzato per la cura di emorragie passive, ferite infette e sudori notturni. Diffuse erano anche le applicazioni contro le infezioni parassitarie.

Le numerose proprietà benefiche attribuite dalla tradizione popolare al melograno sono state successivamente confermate dalla medicina ufficiale, la quale ha inoltre individuato altre interessanti potenzialità terapeutiche di questa pianta. Una ricerca condotta in Israele da Michael Aviram, biochimico al Lipid research laboratory del Medical center Rambam di Haifa, ha scoperto che questo frutto ha delle proprietà terapeutiche, e anche antitumorali, perché è ricco di flavonoidi, antiossidanti che proteggono il cuore e le arterie. Il succo di melograno, secondo la ricerca, è addirittura tossico nei confronti delle cellule cancerose.

Dioscoride, nell'antichità, lo riteneva rimedio specifico contro il verme solitario. L'infuso di fiori è indicato nei casi di diarrea: dieci g in una tazza di acqua bollente, addolcita con miele. Il succo, ottenuto per spremitura, è indicata nelle infiammazioni delle vie biliari e urinaria. Per ottenere un effetto diuretico si fa lo sciroppo, mettendo la polpa dei semi (circa 100 g) a macerare in 300 g di alcool. Alla fine si aggiunge 500 g di sciroppo (acqua e zucchero) e si mescola bene. Se ne prende un cucchiaio al giorno, meglio se sciolto in acqua. All’interno della spessa scorza il melograno ha una polpa granulosa e molto succosa, per 3/4 questo frutto è composto di succo molto ricco di antiossidanti rispetto ad altri succhi, più del vino rosso e più del tè verde. Nei piccoli grani succosi vi sono vitamina A ed E. Il succo del melograno è consigliato alle persone che soffrono di inappetenza, disordine gastrointestinale, cardiopatie, bisogna bere 1 cucchiaio o due al giorno di questo succo preparato con la spremitura in un mortaio dei grani e mescolato con olio di oliva. Recentemente ricerche scientifiche hanno evidenziato nuove proprietà del succo del melograno infatti esso è un ottimo rimedio contro l’aterosclerosi e tutte le altre malattie cardiovascolari poichè aumenta il quantitativo di ossido di azoto sulle pareti delle arterie, limitando in tal modo il rischio di infarto del miocardio e l’altro effetto importante è che tale processo agisce come stimolante sessuale per vincere l’impotenza con un effetto simile al viagra, senza peraltro produrre le controindicazioni e gli effetti collaterali che questo farmaco produce. Il succo del melograno è molto dissetante abbassa la temperatura corporea, in caso di laringite, faringite, tracheite, mezzo bicchiere di succo miscelato con mezzo bicchiere di acqua crea un composto con il quale fare colluttori molto efficaci per ridurre l’infiammazione. In caso di scottature il succo spalmato sulla pelle la sarà un’ottima cura. Mezzo bicchiere oppure un bicchiere di succo di melograno al giorno possono essere anche un rimedio contro l’anemia. La pasta ottenuta triturando le foglie del melograno se strofinate sul cuoio capelluto possono arrestare il processo della calvizie. La scorza del melograno ricca di polifenoli ha un’azione antibatterica nell’intestino, essiccata e usata in infuso come il tè, è un ottimo rimedio per combattere la diarrea e come sedativo del sistema nervoso. Il succo del melograno è ottimo per sbiancare la pelle del viso, per rimuoverne il grasso ed eventuali pigmentazioni della pelle. In gastronomia il melograno è usato moltissimo per preparare salse, macedonie, cocktails.





SUCCO DI MELOGRANO
Il Succo di Melograno viene preparato per spremitura meccanica, a freddo, del frutto, senza aggiunta di solventi. Il Succo Madre così ottenuto viene concentrato sotto vuoto, per evaporazione di acqua sino ad un rapporto non inferiore a 1:5 e confezionato tal quale senza aggiunta di conservanti.
Indicazioni: Succo Concentrato di Melograno è un integratore alimentare a base di sostanze ad effetto antiossidante utile per contrastare i danni causati dai radicali liberi.
Modalità d'uso: diluire 1 cucchiaio di prodotto in circa 100 ml di acqua o succo di frutta o infuso tisana.



MARMELLATA di MELOGRANI
· melograni sgranati
· mele tagliate a pezzetti sbucciate
· zucchero 80% della frutta
Centrifugate i melograni e il succo che ricaverete, mettetelo in una pentola alta , aggiugete le mele e sopra lo zucchero. Mettete un coperchio e tenetelo in frigorifero per una notte. Il giorno successivo ponete la pentola sul fuoco al minimo e lasciate che cuociano bene le mele. A metà cottura passate tutto con un passaverdure grosso e rimettete la pentola sul fuoco , mescolando e al minimo. Dovrebbe essere pronta quando borbotta bene. PS: Se avete un termometro adatto (quello per lo sciroppo ) 105°C... sono il punto di cottura giusto. Invasate e non temete , la marmellata se l'avete cotta al punto giusto, si solidificherà. Ha un sapore indefinibile, direi vicino al lampone!!!!

Ingredienti:- melograno- zucchero- scorza grattuggiata di un' aranciaPreparazione: Scegliete delle melograne mature, tagliatele e separate per bene i semi dalla pellicola bianca che non và utilizzata. Mettete i semini in uno schiacciapatate e premete bene per ottenere la maggiore quantità di succo. Pesate il succo, unitevi uguale peso di zucchero, scorza d'arancia grattugiata e mettete quindi sul fuoco. Portate a bollitura e lasciate poi cuocere a fuoco vivace fino a quando versando una goccia su un piatto si rapprenderà velocemente. Togliere dal fuoco, mettere nei vasi e coprire. Invasatela ancora calda fino ad 1 cm dal bordo del vaso, e mettete il coperchio ermetico. A questo punto capovolgete il vasetto per 5 minuti in modo che la marmellata ancora bollente impregni l'interno del coperchio. Si effettua così una specie di autosterilizzazione.

Che succede dopo il G8 - RaiNews24

bellissimo servizio di RN24 sulla situazione urbanistica e sociale dei piccoli centri alle falde del GranSasso: Tempera, Camarda, Assergi


http://www.youtube.com/watch?v=hD1VKuOyXgI

Mare Nostrum - La Movida mediterranea


In realtà il Mediterraneo è spazio di conquista di molti Paesi, generalmente ritenuti sottosviluppati, che stanno in realtà diventando sempre più agguerriti ed efficienti.
Nel 2008, l'India ha investito 2 miliardi di euro nel Mediterraneo.
La Cina trasforma idrocarburi in Egitto, fabbrica automobili in Turchia e produce fertilizzanti in Tunisia.
Sembra che l'Italia stia a guardare tali nuove realtà, preoccupata solamente di salvaguardarsi dal pericolo della immigrazione clandestina, col rischio di vedersi sfuggire le opportunità economiche favorevoli connesse all'apertura di nuovi e più efficienti meccanismi di scambio e di collaborazione, e di subire tutte le conseguenze negative della presenza di grandi traffici che interessano le acque e le coste del Mediterraneo, soprattutto sotto il profilo della tutela dell'ambiente.




"Refoulement"


325.000 passaggi/anno
487,5 milioni di euro

13 lug 2009

missing




http://www.youtube.com/watch?v=dEC5IP_b-X0



Umberto Eco - Il nemico della stampa

http://www.canisciolti.info/articoli_dettaglio.php?id=17033

Fico d'India –



Il Ficodindia (Opuntia ficus-indica L.) appartiene alla Famiglia delle Cactaceae.Il genere Opuntia è composto da circa 200 specie.
Il Fico d'India è originario dell'America ed è stato introdotto in Europa dopo la scoperta del Nuovo Continente.
Grazie alla sua elevata adattabilità, si è diffusa, oltre all'America centrale e meridionale, in Sud-Africa e nel Mediterraneo (in Sicilia è oggetto di coltura specializzata).
Ha un fusto costituito da cladodi (pale) succulenti in grado di compiere la fotosintesi clorofilliana, da piccole foglie caduche e da numerose spine, molto piccole, disposte intorno alle gemme.
I fiori gialli, a coppa, compaiono in primavera-estate. Il frutto è una bacca uniloculare, carnosa e polispermica.
Un'elevata variabilità nella forma, dimensioni, colore dei frutti e caratteristiche qualitative è riscontrabile non solo tra le diverse specie e biotipi, ma anche nel loro interno.
I semi sono numerosi (da circa 100 a oltre 400 per frutto), di forma discoidale e di diametro pari a circa 3-4 mm. Sono frequenti anomalie dei frutti.È una tipica pianta aridoresistente, richiede temperature superiori a 0 °C, terreni leggeri, senza ristagni idrici, a reazione neutra o subalcalina. Qualora la produzione principale sia basata sui "bastardoni", richiede che in ottobre-novembre si verifichi un andamento climatico che permetta la maturazione di tali frutti.

Varietà
In Italia si sono affermate tre principali varietà, Gialla, Bianca e Rossa o Sanguigna, la cui denominazione deriva dal colore del frutto, mentre una varietà denominata Apirena, caratterizzata da un maggior numero di semi abortiti, è raramente presente in coltivazione. In genere si consiglia la coltivazione di tutte le varietà in modo da fornire al mercato un prodotto caratterizzato da un diverso cromatismo.
Frutti di Ficodindia - Opuntia ficus-indica L.


Tecnica colturale
La propagazione si può attuare per seme o per via vegetativa.Negli impianti specializzati le piante, ottenute per talea partendo da cladodi di due anni con 2-3 cladodi di un anno, possono essere messe a dimora sia con sesti dinamici di m 2-3 x 4-5, e diradate poi sulla fila al 5°-&° anno, oppure con sesti definitivi di m 5-7 x 4-5.
Le piante vengono allevate con forme di allevamento assimilabili al vaso o al cespuglio. La potatura di produzione, da eseguirsi in primavera o a fine estate, deve impedire il contatto tra i cladodi, oltre ad eliminare quelli malformati e lesionati. Un'operazione tipica è la "scozzolatura", cioè l'eliminazione dei giovani cladodi e dei fiori emessi dalla pianta in primavera a seguito della ripresa vegetativa, da eseguirsi in maggio-giugno al fine di favorire i fiori che origineranno i "bastardoni". Richiede qualche lavorazione molto superficiale per eliminare le erbe infestanti, un'adeguata concimazione fosfo-potassica e, se possibile, organica. Per la produzione dei frutti agostani non è necessaria l'irrigazione; necessita di acqua nella produzione dei "bastardoni".
Produzioni I frutti sono consumati freschi, ma vengono anche usati per produrre marmellate, bevande, sciroppi, farina ed oli di semi. I cladodi sono trasformati o consumati come vegetali, in Messico. Spesso il ficodindia è usato per scopi ornamentali, come mangime per bestiame, nella produzione di cosmetici e in alcuni settori industriali e farmaceutici.
Avversità
Oltre alle avversità meteoriche (grandine, neve, ecc.), il Fico è soggetto al cancro gommoso (Dothiorella spp.) e alla ruggine scabbiosa (Phillosticta opuntiae) e può essere danneggiato, tra gli insetti, dalla mosca della frutta (Ceratitis capitata).

Corbezzolo - Arbutus unedo L.



Il Corbezzolo (Arbutus unedo L.) è originario del bacino del Mediterraneo e costa atlantica fino all'Irlanda. Appartiene alla Famiglia delle Ericaceae.
Si dimostra una delle specie mediterranee meglio adatte agli incendi. Infatti sui terreni acidi l'incendio ripetuto favorisce il corbezzolo, capace di emettere rapidamente da terra nuovi turioni dopo il passaggio del fuoco, imponendosi sulle altre specie. Alberello sempreverde alto 5-6 m (a volte fino a 10 m), con portamento spesso arbustivo.
Il tronco presenta una scorza sottile, finemente e regolarmente desquamata in lunghe e strette placche verticali di colore bruno-rossastro.Le foglie persistenti, alterne, coriacee, con breve picciolo, hanno una lamina obovato-ellittica. I fiori sono posti in racemi ramificati di colore bianco crema o rosato, provvisti di corolla lanceolata con 5 denti brevi; il calice ha denti triangolari. Fiorisce da ottobre a dicembre e fruttifica nell'autunno seguente. Il frutto è una bacca globosa di 1-2 cm, rosso scura a maturità, edule, con superficie ricoperta di granulazioni; polpa carnosa con molti semi.

Frutti di Corbezzolo

Varietà e portinnesti
Probabilmente sarebbe possibile selezionare qualità con frutti più saporiti, come è stato fatto per il colore dei fiori; ne esiste infatti una varietà rubbia decisamente con fiori rosei ed anche frutti più colorati.
Corbezzolo in fiore
Tecnica colturale
È una pianta che si riproduce facilmente sia per seme che per talea.
Produzioni
Raro l'utilizzo allo stato fresco.
La trasformazione prevede: marmellate, gelatine, sciroppi, succhi, creme, salse e canditi.
Se fermentati danno il vino di corbezzole e distillati con proprietà digestive.Dai frutti, foglie e fiori si estraggono principi attivi con proprietà astringenti, antisettiche, antinfiammatorie, antireumatiche.
La corteccia contiene tannini utilizzati industrialmente, per la produzione di coloranti e per la concia delle pelli.
Data la rapidità di accrescimento, trova impiego nei rimboschimenti per scopi ambientali, protettivi e antierosivi. Viene utilizzato nel settore florovivaistico per scopo ornamentale.
Poiché i fiori appaiono in autunno-inizio inverno, allorché i frutti dell'anno precedente sono maturi, il valore ornamentale della pianta è molto incrementato da tale particolarità.

Fiore di cera - Hoya spp.



Nome comune: Fiore di cera.
Genere: Hoya.
Famiglia: Asclepiadaceae.
Etimologia: il nome del genere ricorda quello di Thomas Hoy, capo giardiniere di del duca di Northumberland, nel XVIII. Provenienza: India, Cina meridionale, Australia, Giava, Borneo, Himalaya.
Descrizione genere: comprende circa 200 specie di piante perenni, sempreverdi, a portamento strisciante o rampicante. Presentano foglie di colore verde scuro, opposte, di consistenza carnose o cuoiosa, di forma ovale o lineare. I fiori, dalla corolla traslucida di aspetto ceroso, compaiono in estate, riuniti in infiorescenze ad ombrella compatte ed emisferiche e sono molto profumati. La specie che più si adatta alla coltivazione da noi, sia all’aperto (nelle regioni a clima più mite) sia in appartamento è Hoya carnosa. Le altre specie sono più indicate per ambienti protetti come la serra.

Specie e varietà
Hoya angustifolia: specie a portamento rampicante, che presenta foglie lineari, lanceolate, che raggiungono la lunghezza di 10 cm. e fiori di colore bianco.
Hoya bella: originaria dell’India, questa specie non supera i 20-30 cm. di altezza. Le foglie sono piccole; i fiori, cerosi, profumati e di forma stellata presentano la corolla bianca, con la parte centrale rosa o porpora.
Hoya carnosa: originaria dell’India, della Cina meridionale e dell’Australia, è la specie che più di ogni altra si può coltivare nei nostri climi, sia in appartamento che in pieno campo (purché in zone a inverno mite). Presenta portamento rampicante con rami lunghi e volubili, che si fissano ai sostegni tramite radici avventizie. Le foglie, ovali-oblunghe, acuminate e di consistenza carnosa hanno la lamina ricoperta di sostanze cerose e di colore verde lucido. I fiori, stellati e cerosi, di colore bianco con la parte centrale rosata, compaiono a primavera-estate, riuniti in ombrelle semi-globose ed emanano un intenso profumo durante la notte. Lo scapo fiorifero è multiflora e non va mai tagliato né vanno recise le infiorescenze, per non impedire la successiva fioritura, che avverrebbe sul prolungamento dello stesso. La varietà “Variegata” presenta i margini fogliari di colore bianco. La varietà “Marmorata” ha foglie con la parte centrale screziata di bianco.
Hoya fraterna: originaria di Giava, presenta foglie coriacee, di forma ovale e fiori, di colore rosso-bruno, che compaiono in ombrelle compatte.
Hoya globulosa: questa specie presenta foglie di consistenza coriacea, con la punta arrotondata e la lamina vellutata. In aprile produce infiorescenze a forma di ombrella, formate da fiori di colore bianco-crema.
Hoya imperialis: originaria del Borneo, questa specie ha foglie lunghe e strette, di consistenza carnosa e fiori, di colore rosso-bruno o porpora, riuniti in ombrelle pendule.
Hoya longifolia: originaria del Sikkim (Himalaya), questa specie non richiede climi molto caldi. Presenta rami sottili e foglie lineari, lunghe, acuminate, concave sulla pagina superiore e arrotondate su quella inferiore, di consistenza carnosa e di colore verde scuro. Le infiorescenze sono formate da piccoli fiori, stellati, di colore bianco, con il centro rosa. L’asse fiorifero è multiflora e non deve essere tagliato, per non impedire la comparsa delle successive infiorescenze.
Hoya multiflora: questa specie presenta portamento rampicante o compatto, con foglie opposte, di consistenza coriacea e di forma oblungo-lanceolata. Produce infiorescenze a grappolo costituite da fiori color paglia con il centro bruno.
Hoya purpureo-fusca: originaria di Malesia e Indonesia, questa specie a rapida crescita presenta portamento rampicante e foglie simili a quelle della specie H. carnosa, ma più lunghe e macchiate d’argento. I fiori sono di colore porpora o marrone con i margini bianchi e il centro bianco rosato.
Esigenze ambientali, substrato, concimazioni ed accorgimenti particolari
Temperatura: la temperatura minima invernale non deve scendere sotto i 10-13°C.Luce: molto forte, per potere ottenere la fioritura, ma al riparo dai raggi solari.Annaffiature e umidità ambientale: le annaffiature dovranno essere regolari in estate, molto ridotte in inverno. Le piante di questo genere hanno un apparato radicale che marcisce facilmente. Sarà bene quindi lasciare asciugare il terreno tra una somministrazione e l’altra. L’umidità ambientale dovrà essere incrementata con ogni mezzo, avendo però cura di evitare che possa diventare stagnante.Substrato: una miscela a base di terra di foglie e torba, con aggiunta di sabbia.Concimazioni ed accorgimenti particolari: è bene dare alla pianta un sostegno (muro o graticcio) sul quale arrampicarsi.
Moltiplicazione
Si moltiplica per talea apicale o per propaggine. La prima, della lunghezza di 5-10 cm., deve essere prelevata dai fusti maturi. Deve essere messa a radicare in un miscuglio di torba e sabbia, mantenuto appena umido, alla temperatura di 20°C. La propaggine si può effettuare interrando leggermente un ramo flessibile, fermandolo a livello di un nodo, in un vaso contenente torba e sabbia, mantenute appena umide.
Malattie, parassiti e avversità
- Foglie che ingialliscono: eccesso di acqua.
- Foglie che appassiscono e cadono: annaffiature scarse.
- Foglie che diventano brune: esposizione ai raggi diretti del sole.

“Il buon contadino”

Non c’è nulla che cresca bene in un ambiente ostile ; una semplice pianta risente del clima, del terreno, delle cure del contadino ma anche di eventi incontrollabili ( gelate, inondazioni, siccità, ecc) verso i quali , a volte, si è , momentaneamente, impotenti. Davanti all’imponderabile, che arriva, l’atteggiamento di chi ama la sua terra , non è mai di resa ; al disorientamento iniziale e alla tristezza segue la tenacia di non sottomettersi ad un “temporaneo” destino avverso.

Esistono alcune tipologie di contadini
Contadini improvvisati : complicano la propria vita ( più o meno consapevolmente) coltivando terreni improbabili quasi come se ignorassero le condizioni vitali dei loro prodotti. Chi si appresta a far crescere del grano nel deserto quanto meno si può definire “distratto”! Contadini sprovveduti : pur avendo terreni fertili, dimenticano di seminarli e /o di curarli, inveendo poi contro la natura , quando si trovano a non raccogliere nulla…….Prendersela con le piante se non crescono, se si ammalano, se non soddisfano , beh…lascia il tempo che trova!
Quel che è certo è che una pianta non si rimette in sesto per un senso di colpa ; a volte, succede che si riprenda per tenacia e cerca, in proprio, la linfa vitale.
Sono eccezioni che confermano la regola ma rappresentano la speranza che si possa sopravvivere cercando risorse alternative.
Contadini per caso: quelli che non hanno nessuna voglia di fare i contadini ma non lo dicono. Sarebbe più utile non intraprendere il mestiere ed orientarsi verso altre imprese.
Contadini “pentiti” : quelli che comprendono in ritardo di non esserci portati .In questo caso si può tentare di salvare almeno le piante già seminate e seppur con fatica, portare a termine l’impegno, evitando nuove semine.
Contadini convinti : sono quelli che ci mettono amore e dedizione ma non solo…
Sono quelli che riflettono sulle difficoltà , ( naturali in questo compito) e le superano, contenti della fatica.
Un contadino attento, pensa e cerca il modo per riparare eventuali errori, fatti per distrazione e /o per stanchezza!
Il lavoro necessario per una buona raccolta, è davvero faticoso ma lo diventa ancora di più se deve riparare ciò che non è stato fatto a tempo debito.
Si tratta, quindi di capire, se si vuol coltivare la propria terra seguendo i ritmi della natura, o se, magicamente, ci si affida alla buona sorte.
Chi arriva a leggere queste pagine è di sicuro un buon contadino ( non certo per la scelta del sito) se non altro perché non si affida alle sue sole certezze.”

Ricostruire



Rivista tecnico-culturale, edita da Martin Internazionale, negli anni 1976 - 1980, Udine
Raccolta di esperienze progettuali, studi e approfondimenti sulle tecniche di recupero strutturale, luogo di dibattito politico disciplinare sulle problematiche della ricostruzione, promotrice di tavole rotonde, convegni e mostre sul terremoto e la ricostruzione del Friuli
UN AQUILANO IN FRIULI

6 maggio 1976, ore 21. Il piccolo auditorium era pieno di un pubblico attento alla conferenza; ad un tratto cominciò ad udirsi uno strano lamento, crescente d’intensità in pochi minuti, tanto da diffondersi fastidiosamente tra gli spettatori e, a un tratto, da indurre l’oratore ad interrompersi per individuarne l’origine: “Gatti…” commentò sorpreso e tranquillizzante, riprendendo la sua esposizione.
Pochi istanti dopo la sala fu scossa da un sussulto, quasi si fosse tutti all’interno di una carrozza tramviaria, bruscamente frenata in corsa.
In quel momento, a 60 kilometri di distanza, 45 comuni delle provincie di Udine e Pordenone venivano disastrati da un violento terremoto e altri 92 centri abitati venivano variamente danneggiati, con un coinvolgimento di circa 580mila persone e oltre 1.000 morti.

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Il giovane neo-laureato, aveva lasciato L’Aquila da pochi anni e aveva superato da pochi giorni l’Esame di Stato per la professione di ingegnere civile.
Un paio di giorni dopo, si presentava volontariamente al centro di coordinamento dei soccorsi per i Comuni di Majano, Buia e Osoppo.
Casco, mascherina, guanti, iniezione antitetanica: furono i suoi primi armamentari di lavoro.
Da quel momento iniziò la sua esperienza lavorativa, a contatto con le problematiche sorte col terremoto e con le varie fasi della ricostruzione, seguendo le diverse tappe della nascita e dello sviluppo del cosiddetto “Modello Friuli”.

Maggio 1976. Nomina del Commissariato Straordinario di Governo e istituzione dei Centri Operativi per il coordinamento degli interventi di soccorso. Altri Centri furono istituiti dalle Comunità montane e dalla Comunità Collinare, (S. Daniele, Majano, Osoppo, Forgaria, Ragogna, Buia, ecc.)
I tecnici, sia quelli dipendenti dalle Amministrazioni pubbliche che i privati volontari, furono impiegati subito nella direzione di operazioni di sgombero controllato di macerie, di demolizione “mirata” di edifici pericolanti (per riattivare strade e passaggi strategici), e nella gestione dei primi interventi di consolidamento e messa in sicurezza degli edifici.
17 giugno 1976. Con la legge regionale n. 17, furono formate commissioni tecniche (le cosiddette “Terne”: ingegnere/architetto, geologo, geometra) per il rilevamento dei danni subiti dagli edifici classificati recuperabili, determinando, attraversa la compilazione di schede già codificate, la consistenza e la spesa necessaria alla riparazione dei danni.
In pratica, puntelli, teli e martelli: venivano finanziati gli interventi urgenti e minimi indispensabili a eliminare le parti pericolanti delle costruzioni, a puntellare le parti recuperabili ed evitare ulteriori possibili danni causati da crolli di porzioni residue, dall’appesantimento delle strutture a causa delle piogge, ecc..
21 luglio 1976. Entrava in vigore la Legge Regionale n. 33. Conteneva norme per il reperimento delle aree da destinare agli interventi edilizi urgenti.
In particolare, attraverso l'elaborazione di varianti ai Piani Regolatori comunali vigenti, si procedette, in stretta collaborazione con le Amministrazioni comunali, alla individuazione delle aree da destinare ai nuovi insediamenti, anche provvisori, per fronteggiare le immediate esigenze abitative di oltre 61.000 persone, nonché di quelle per i servizi collettivi, per le attività terziarie di livello comunale e per gli insediamenti produttivi.
La loro localizzazione tenne conto dell'esigenza primaria di conservare intatta la coesione delle comunità loca1i, intenzionate a rientrare dopo il temporaneo sfollamento verso i centri della costa adriatica.
Le aree di insediamento, di limitata e, a volte, di ridottissima estensione (anche solamente per 2 o 3 alloggi per ciascun nucleo), furono scelte d’intesa con i Sindaci, tra quelle a più diretto contatto con i nuclei edificati originari; furono stipulati regolari contratti d’affitto con i proprietari.
Luglio, agosto 1976: progettazione delle opere di urbanizzazione primaria delle aree, realizzazione dei lavori, mediante appalto a Imprese singole o riunite in Consorzio (CO.RI.F.). Posizionamento dei prefabbricati forniti dalle Ditte Volani, Bortolaso, Della Valentina, COCEL, ecc.
La stessa legge regionale n. 33 imponeva la perimetrazione dei nuclei urbani distrutti nei quali la ricostruzione doveva essere attuata previa predisposizione di piani particolareggiati e l'individuazione, tra le altre, delle aree di discarica delle macerie.
Settembre 1976. Terribile scossa di terremoto e nuovi crolli. Esodo massiccio della popolazione verso i centri costieri.
Dal “fasìn di besòi” (facciamo da soli) al “dov’era e com’era”. Fortunatamente, l’inverno tra il 1976 e i 77 non fu particolarmente crudele.
Da quel momento, e ancor più con l’entrata in vigore della Legge Regionale n. 30 (20 giugno1977) e della Legge Regionale n. 63, (23 dicembre 1977), l’azione di ri-costruire il Friuli, è stata azione corale, politica, amministrativa, sociale, tecnica.
Partecipazione attenta e solidale dello Stato; vigorosa azione di programmazione e controllo da parte della Regione Friuli-Venezia Giulia; massiccia e instancabile opera delle Amministrazioni locali, Comuni, Comunità collinare, Comunità montane.
Da lì, la definizione del cosiddetto “Modello Friuli”.
Attraverso una serie di Documenti Tecnici (DT) elaborati sotto la guida e la sorveglianza della Regione, furono meticolosamente e dettagliatamente codificati i metodi di rilevamento dei danni degli edifici, la loro rappresentazione convenzionale unificata, le indicazioni progettuali degli interventi di riparazione e di adeguamento antisismico, il prezziario unificato delle opere edili e impiantistiche per la stima degli interventi, la parametratura dei contributi per la riparazione e per la ricostruzione, la articolazione delle varie forme di credito finanziario ai privati e alle imprese produttive, gli onorari professionali e le spese tecniche.
I computers ancora non cominciavano a entrare e a diffondersi nella strumentazione usuale degli studi tecnici.

Eccezionale scuola umana e professionale per il giovane ingegnere “ex aquilano”…dal 1976 al 1980 e oltre…

…analisi dello stato di fatto urbanistico e sociale preesistente e immediatamente conseguente al sisma; contatto capillare con gli abitanti-utenti dei piani di ricostruzione; instancabili, continue consultazioni serali con loro e con gli amministratori locali (al termine delle loro giornate di lavoro) e traduzione in elaborati tecnici di pianificazione e progettazione, la giornata seguente in studio, per modificare, migliorare, rendere sempre più aderente il piano alle esigenze dell’utente finale.
E alle 18, di nuovo in macchina, verso il Comune assegnato e verso una nuova riunione. A Forgaria, i primi mesi, veniva utilizzato un autobus lasciato dai soccorritori, nel quale era stato portato un tavolino su cui poter aprire le carte e una lampadina che prendeva la corrente elettrica dall’osteria.

E poi: … sopralluoghi, rilievi, indagini geologiche e catastali, al fine di conseguire una corretta conoscenza della realtà pre-esistente e definire l’opera di ricostruzione, congruente con i principi di risanamento urbanistico e ambientale, nel rispetto delle normative antisismiche, ma anche compatibile con le regole di conservazione dell’ambiente fisico e di riproposizione del tessuto microeconomico e sociale dei luoghi.
Specifiche normative furono applicate, adeguate, perfino “inventate”, per le zone non residenziali, destinate sia all'attività produttiva agricola, che ad altri insediamenti produttivi, ai servizi collettivi e agli ambiti territoriali suscettibili di particolari prescrizioni in materia di protezione ambientaIe, di rispetto di vincoli idrogeologici e geosismici.

Nei piani particolareggiati di ricostruzione furono introdotte indicazioni cogenti per la razionalizzazione di confini di proprietà, per la eliminazione di servitù attive e passive tra proprietà finitime, per l’accorpamento di proprietà frazionate, per il riordino fondiario, fino alla ricomposizione, pezzo pezzo, “cassone” per “cassone”, della cartografia catastale.
E nel frattempo, in virtù dei tempi relativamente brevi impiegati nella predisposizione degli strumenti urbanistici particolareggiati, la possibilità reale, da parte delle Amministrazioni Comunali, di rilasciare centinaia di concessioni edilizie e relativi contributi di legge per la ricostruzione di edifici nelle aree più centra1i degli insediamenti, quelle maggiormente colpite dal disastro.
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A distanza di 33 anni, camminando oggi per le vie e tra le case e i palazzi ricostruiti di Osoppo, Gemona, S.Daniele, Venzone (ricostruiti non come vuote quinte teatrali, ma come veri nuclei urbani, vivificati da veri abitanti e cittadini nella pienezza delle loro attività economiche e sociali), resta la soddisfazione di aver contribuito, seppur in minuscola parte, a quel processo.

Il grande segreto - Caccia ai neutrini

Il rivelatore OPERA in costruzione (foto: Laboratori del Gran Sasso)
5 novembre 2006
Caccia ai neutrini per svelare i segreti dell'universo

Particelle tanto minuscole da attraversare senza quasi lasciar traccia la materia: catturarle è difficile, ma tendendo loro delle trappole i fisici sperano di riscrivere le teorie sulla natura dell'universo.
L'ultima trappola acchiappaneutrini è entrata in azione recentemente sotto il Gran Sasso. Dovrà bloccare i neutrini sparati nella sua direzione dal CERN di Ginevra.
Un viaggio di 730 chilometri in appena 2,5 millisecondi: la grande corsa dei neutrini tra Ginevra e i laboratori del Gran Sasso è cominciata. Si tratta del più straordinario esperimento di fisica degli ultimi anni e gli scienziati di mezzo mondo lo seguono col fiato sospeso. Il motivo? Se si riuscisse a dimostrare che i neutrini non sono fatti di sola energia, ma che hanno anche una massa, i libri di fisica andrebbero riscritti.
Ecco allora che, dopo anni di preparativi, in settembre dal Super Proto Sincrotrone del Centro europeo di ricerca nucleare (CERN) è stato sparato un primo fascio di neutrini che si è infilato sotto le Alpi, ha attraversato la pianura padana e gli Appennini per poi trovarsi davanti ad OPERA, una gigantesca trappola sormontata da più di un chilometro di roccia.


12 lug 2009

Il grande segreto - Luci sismiche

Introduzione alle luci sismiche
Stralci dal sito……

di Massimo Silvestri max.silve@libero.it



1. Introduzione
A volte, in concomitanza di forti terremoti, viene riferito (dai testimoni scampati al disastro) di misteriose luci osservate in cielo durante l’abbattersi del sisma.Queste particolari luminescenze prendono il nome di luci sismiche (EarthQuake Light - EQL). Le EQL non accompagnano costantemente i terremoti, e ciò ha fatto si che questo particolare fenomeno fosse per molto tempo rigettato nell’aneddotica popolare.Non c’è quindi da stupirsi se inizialmente alcuni ricercatori definirono questo enigma un "capitolo oscuro della sismologia ".Col tempo si osservò che tali fenomeni luminosi si manifestavano durante quei terremoti particolarmente violenti, con magnitudo superiore al 6° grado.Analizzando uno dei primi cataloghi stilati sulle EQL avvenute nel mondo (1979), si è osservato che il maggior numero di manifestazioni luminose avvengono con scosse di magnitudo (M) uguale o superiore a 7, diminuiscono a pochi casi nel range tra 6 e 7, per poi sparire completamente al di sotto di M = 5


Dal punto di vista morfologico, le EQL possono assumere le forme più svariate: dai semplici lampi o baleni, alle colonne e travi infuocate, dai vortici luminosi ai globi di luce, o semplicemente fiamme e fiammelle viste fuoriuscire dal suolo.La distribuzione temporale del fenomeno rispetto al verificarsi del sisma è variabile e dipende dal tipo di luminescenza presa in esame, infatti vedremo in seguito che lampi, bagliori e luci diffuse tendono ad apparire maggiormente prima ed in misura minore durante il sisma, mentre i globi, le colonne e le travi infuocate (forse colonne e travi possono essere equiparate al medesimo tipo di fenomeno, con la differenza che il primo ha l’asse del corpo verticale rispetto al suolo, mentre il secondo è orizzontale) si palesano maggiormente durante la scossa, in misura minore prima, per poi ridursi notevolmente dopo.Le fiamme, fiammelle, fumo e densi vapori si presentano contemporaneamente e di seguito al sisma e in misura minima lo precedono. Queste differenze nei tempi di apparizione possono essere imputabili alla diversa natura di formazione e di costituzione, di ciò che noi genericamente accomuniamo sotto il nome di luce sismica.Per quanto riguarda i colori assunti dalle EQL, queste variano a seconda del tipo di luce presa in esame.Generalizzando si può affermare che per lampi e baleni la colorazione assunta è quella tipica dei normali fulmini temporaleschi (blu chiaro e bianco), mentre globi, travi e colonne (comunemente indicate col termine "infuocate") vanno dal rosso cupo al giallo, alle luci diffuse viene abbinato il colore rossastro mentre per le nebbie luminescenti il bianco.Anche l’intensità di queste luci varia da caso a caso e dal tipo di EQL preso in esame, dalle tenui fiammelle viste librarsi sopra al terreno a lampi e bagliori tanto intensi da illuminare a giorno le località coinvolte dal sisma, come accaduto durante il rovinoso terremoto di Tangshan (M 7.8) in Cina, il 28 Luglio 1976. Il cielo fu illuminato a giorno, da bagliori e lampi talmente intensi da svegliare la popolazione e indurre qualcuno a ritenere che fosse stata accesa la luce nella camera da letto. Le EQL furono osservate anche a 325 km di distanza dalla zona epicentrale [2].In passato l’uomo osservò con molta attenzione quei mutamenti ambientali anche impercettibili, determinati dagli avvenimenti incombenti, onde avere la possibilità di prevedere e quindi limitare i danni prodotti dal terremoto. Allora, più che al giorno d’oggi (dove si demanda tutto alle macchine e alla tecnologia), vennero osservati e tramandati quei racconti di luci e bagliori diffusi che precedevano l’arrivo del sisma e che generarono quell’aneddotica popolare che solo in questi ultimi decenni abbiamo iniziato ad accettare per vera.
………………………………………….

Arriviamo al rovinoso terremoto di Ognissanti del primo novembre 1755, che distrusse e cancellò completamente Lisbona, con scosse e maremoti e causando la morte di migliaia di persone. Questo fatto suscitò grande scalpore e incentivò gli illuministi europei a studiare questa distruttiva forza della natura; ciò permise la raccolta di parecchie informazioni sia sul fenomeno in sé, che su gli effetti collaterali prodotti.Uno fra tutti fu Immanuel Kant (1724-1804), filosofo tedesco che a seguito di questi fatti incominciò ad interessarsene e col tempo pubblicò tre opere straordinarie.Kant riferisce che mentre Lisbona era rasa al suolo, le acque di sorgenti, laghi e fiumi posti in luoghi a notevole distanza dalla città portoghese (Svizzera, Svezia, Norvegia), furono scossi in maniera maggiore di quanto solitamente si era soliti vederli durante una tempesta e di contro il clima era calmo e tranquillo. Le acque del lago Neuchatel e quelle di Meiningen si abbassarono per poi tornare a livello regolare. A Gemenos (Provenza), una sorgente trasformò le sue acque in melma che poi si tinsero di rosso.Proseguendo nei suoi studi sui terremoti, Kant raccolse dati su particolari fenomeni che precedettero e accompagnarono le scosse. Lampi e fenomeni luminosi furono spesso osservati precedere le scosse, come pure una certa irrequietezza mostrata dagli animali.Otto giorni prima di un terremoto, la terra di Cadice si coprì di vermi fuoriusciti dalle proprie tane. A Taum, in Irlanda, apparve un fenomeno luminoso sul mare a forma di bandiera, dal quale si propagò una luce abbagliante, seguita poi da una forte scossa di terremoto. In questo periodo storico iniziano pure, da parte degli scienziati dell’epoca, le prime esperienze nel campo dell’elettricità e del magnetismo e ciò fa si che vengano prestate particolari attenzioni a certi fatti.
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Alcuni esempi:
Il 22 gennaio 1892, le zone da Roma a Velletri e da Campobasso a l’Aquila furono colpite da una forte scossa durante la notte. Diversi testimoni, nelle varie zone, riferirono di aver visto un intenso lampo nell’istante della scossa. Uno di questi, che si trovava in camera, afferma che il lampo era così intenso da permettergli di distinguere ogni particolare della stanza, nel minimo dettaglio. Il 18 dicembre del 1897, la zona di Città di Castello, Monte Nerone e dintorni furono colpite dal terremoto. Alcuni testimoni riferiscono di aver visto un lampo alcuni istanti prima del sisma, mentre diverse ore prima furono viste delle strisce di fuoco attraversare il cielo sopra Monte Nerone in senso orizzontale. Il fenomeno delle strisce infuocate si ripresentò sul Monte Nerone, il 27 dicembre dello stesso anno, alcune ore prima del sisma.Nel terremoto che colpì l’Emilia il 4 marzo 1898, venne riferito di un lampo che precedette l’arrivo della scossa. Citando le parole del prof. Pio Benassi che si interessò ai fatti:"A S. Michele di Torre ed a Torrechiara parecchie persone, le quali si trovavano per istrada, affermano con giuramento d’avere osservato un lampo improvviso, simile a quelli che si scorgono nelle calde sere d’estate in fondo all’orizzonte: del che rimasero meravigliati, non parendo loro quella una giornata ed una stagione da lampi, perciò supposero si potesse trattare di qualche temporale dietro l’Appennino ed aspettavano il tuono: invece udirono il rombo e si sentirono traballare."


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La contrapposizione di masse rocciose nella litosfera porta ad un accumulo di stress tettonico nel sottosuolo. Questo stato può essere immaginato come un aumento di pressione negli strati interni della Terra che sono assorbiti e accumulati dalle rocce tramite una deformazione elastica della loro struttura. Quando l’aumento di compressione supera un determinato valore, specifico per quell’area, la deformazione delle rocce diviene irreversibile (deformazione plastica) e sotto questa spinta si genera un terremoto. L’energia precedentemente accumulata viene rilasciata finché non si ricrea una nuova situazione di equilibrio. Durante queste fasi compaiono fenomeni singolari e modifiche ambientali di diversa portata.Si va dal comportamento anomalo degli animali a variazioni del livello delle acque nei pozzi e nelle sorgenti; dalle emissioni di gas di varia natura alle maleodoranti esalazioni sulfuree, da nebbie e foschie comparse repentinamente, fino a strani suoni e ruggiti provenienti dal sottosuolo. Tutti questi segni, che col tempo risultarono (in parte) spiegati dalla scienza come effetti collaterali del preannunciarsi di un sisma, furono assieme alle luci sismiche osservati e inglobati in quelle massime popolari il cui rispetto avrebbe permesso non solo di predire l'avvicinarsi del terremoto, ma anche di salvarsi da questa catastrofe.I racconti sul comportamento anomalo degli animali prima di un terremoto non sono una leggenda popolare priva di fondamento. Dal passato, dove il contatto fra l'uomo e l'ambiente era maggiore e fra le attività principali vi era l'allevamento, ci giungono testimonianze di cavalli e vitelli che non vollero rientrare nelle loro stalle o di cani e gatti che fecero di tutto per abbandonare le abitazioni dei loro padroni, distrutte poi dall'arrivo del sisma [4, 19, 20].Altre testimonianze ci giungono dal Giappone dove prima di alcuni forti terremoti aumentò la pescosità di fiumi e laghi e dove, in pieno inverno, si videro vermi e serpenti fuoriuscire dalle tane per poi morire dal freddo; precedendo di poco l'arrivo di una scossa.

Questo non sta’ a significare che ogni qualvolta vedremo degli animali comportarsi in modo enigmatico stia per incombere un terremoto; solamente che i vari episodi trovano sostegno in studi scientifici relativamente recenti. Si è scoperto che gli animali, più degli uomini, sono sensibili alle variazioni del campo magnetico terrestre, alla presenza di campi o cariche elettriche; condizioni che possono verificarsi prima di un sisma [14, 17, 18].Dal momento che alcune teorie alla base delle EQL si fondano su presunti "effetti scarica" prodotti da campi elettrici intensi o da un accumulo di cariche (generate da condizioni presenti nel sottosuolo), l’accenno al comportamento animale non è fuori luogo.Per quanto riguarda le variazioni del livello delle acque sorgive, sono da tenersi in massima considerazione, in quanto lo scorrere dell’acqua nelle profondità della terra è uno di quei meccanismi più volte indicati come causa di separazione di carica (elettrica) e quindi rientrante nel campo delle EQL.

La presenza di gas, fumi e maleodoranti esalazioni provenienti da crepe e fenditure del terreno tende a confermare quelle ipotesi che riconducono parte delle EQL all'accensione di sacche di gas intrappolate nella crosta terrestre.



Se volete saperne di più: www.itacomm.net/EQL/eql01_i.htm

L'Aquila, 12 luglio

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