27 ott 2011

«Al posto del Tav metta in sicurezza il territorio»

Tozzi e Mercalli contro il governo: «Al posto del Tav metta in sicurezza il territorio» 
di Lorenzo Galeazzi, 27 ott.

I due conduttori televisivi: "L'esecutivo fa finta che il cambiamento climatico non esista" Invece delle mega-opere, mille piccoli cantieri per fermare il dissesto idrogeologico.» Il Fatto quotidiano, 26 ottobre 2011
 
“L’unica grande opera infrastrutturale della quale l’Italia ha bisogno non è il Tav o il ponte sullo Stretto, ma è un piano per la messa in sicurezza del territorio”. I due volti televisivi del pensiero ambientalista italiano, Mario Tozzi e Luca Mercalli parlano a una voce sola per commentare quanto accaduto in Liguria e Toscana, dove il maltempo ha messo in ginocchio le regioni provocando morti, dispersi e interi paesi evacuati.

Secondo i due esperti, sul banco degli imputati ci sono cinquant’anni di edilizia selvaggia, nessun piano serio per prevenire il dissesto idrogeologico né tantomeno uno straccio di programma per informare la popolazione sui rischi connessi a questo tipo di fenomeni. “Sono nato il 4 novembre del 1966, il giorno dell’alluvione di Firenze – dice Mercalli – Anche allora ci si fece trovare impreparati. Quarantacinque anni dopo non è cambiato niente. Si piange e si contano i morti quando piove e si fa finta di niente quando torna il sole”.

Negli ultimi 45 anni non solo non è andati avanti a cementificare il territorio come se niente fosse, ma il clima impazzito ha aggredito quei terreni resi negli anni fragili e impermeabili alle bordate d’acqua sempre più forti che piovono dal cielo. Un fenomeno che in molti paesi rappresenta una realtà con cui fare i conti, mentre in Italia viene derubricato a superstizione di qualche cassandra travestita da scienziato.

“La quantità d’acqua che prima cadeva in un mese, oggi cade in un’ora. E questo è uno dei principali effetti dell’innalzamento della temperatura terrestre, perché l’aria è più calda e l’energia termica che viene sprigionata è maggiore. E questo è un fatto, non un’opinione”, sostiene Tozzi.

Parole che dovrebbero fare fischiare le orecchie ai vari Marcello Dell’Utri, Adriana Poli Bortone, Antonio D’Alì e alla pattuglia di senatori della maggioranza protagonisti, poco più di un anno fa, di una serie di mozioni che negavano l’esistenza del cambiamento climatico come conseguenza dell’azione umana. Secondo loro, il climate change è figlio di non meglio precisati fenomeni astronomici e, nel caso esista realmente, porterà “maggiori benefici” che danni. Come gli scenari apocalittici descritti dagli scienziati dell’Ipcc, l’International panel on climate change delle Nazioni unite. Il loro corposo dossier, considerato dal centrodestra italiano come una iattura anti-sviluppista, valse agli esperti dell’Onu il premio Nobel per la Pace nel 2007.

“Eppure la tropicalizzazione del clima ci sta presentando il conto – sostiene Tozzi – A iniziare dalle flash flood (le bombe d’acqua, alluvioni istantanee, ndr) che sono figlie del clima che si surriscalda e si estremizza. Basti pensare alla Liguria dove nei giorni scorsi sono caduti metà dei centimetri d’acqua che in quel territorio cadono in un anno”.

Una posizione condivisa da Mercalli che ricorda quando durante una recente puntata di Che tempo che fa descriveva in diretta i contenuti del dossier sugli scenari climatici messo a punto dalla Svizzera: “Il governo elvetico ha messo in conto al primo punto gli eventi alluvionali intensi e improvvisi che sono scatenati dall’aumento della temperatura, da noi invece si fanno spallucce e scongiuri per poi dichiarare lo stato di calamità naturale”.

Infatti a differenza di Berna in Italia si preferisce costruire gigantesche opere infrastruturali, giudicate inutili dagli esperti e invise alle popolazioni locali, invece che mettere a punto un piano organico per fronteggiare il dissesto idrogeologico. Un settore che “a partire dal 2006 ha visto i fondi dimezzati, mentre si trovano, o si dice di trovare, i soldi per la Torino-Lione o per il ponte sullo Stretto di Messina”, fa notare Tozzi. “Ma la prevenzione – continua il geologo – non solo salva le vite umane – conviene anche dal punto di vista economico: per un euro speso oggi se ne risparmiano sette in futuro”. Al posto di faraonici ponti e gigantesche gallerie, secondo i due conduttori, bisognerebbe aprire mille piccoli cantieri che mettano in sicurezza colline, paesi e letti di fiumi. “Invece noi siamo il paese delle grandi opere che non vedranno mai la luce del sole, degli sciagurati piani casi, della cementificazione selvaggia e soprattutto dei condoni”, sottolinea amareggiato Tozzi.

A fianco della prevenzione l’altro grande assente dal dibattito è l’informazione, che “è morta” secondo Mercalli per lasciare il campo alla semplice emotività nel commentare emergenze e catastrofi. Il meteorologo cita il caso di New York, quando a fine agosto si è trovata a dover fronteggiare la tempesta Irene. Il piano di evacuazione e le informazioni date alla cittadinanza da parte dell’amministrazione Bloomberg hanno fatto sì che in città non si registrasse nessuna vittima. “Quello che sarebbe successo nel Levante ligure si sapeva con 48 ore di anticipo – attacca Mercalli – Se si fosse messo a punto un serio piano di educazione-informazione per i cittadini, come nella Grande Mela, magari non si sarebbero salvati gli edifici, ma di sicuro le vite umane”.

Tuttavia i due conduttori televisivi guardano al futuro con disillusione e quasi all’unisono dicono: “Dopo la tragedia tornerà il sole e anche questa volta ci si dimenticherà di tutto”. In attesa della prossima alluvione o frana accompagnata dalla solita litania giustificatoria. “Che suonerà ancora più grottesca perché eventi di questa portata non sono più né eccezionali né tantomeno imprevedibili”.

Jeremy Rifkin: «La prossima rivoluzione sarà quella ambientale»

Jeremy Rifkin: «La prossima rivoluzione sarà quella ambientale» di Antonio Cianciullo, 26.10.2011



«Non è l'austerità a essere sbagliata. E' la mancanza di un piano di sviluppo che crea i problemi». La Repubblica, 25 ottobre 2011, con postilla

Italia ha tagliato drasticamente i suoi bilanci obbedendo alle disposizioni della finanza internazionale. E adesso che succede? Si sente dire che non è credibile perché non ha i fondi per sostenere la crescita. Ma questo è il comma 22, una via cieca. Non si può pensare di continuare a cancellare posti di lavoro e futuro senza che si moltiplichino moti di rivolta come quelli che stanno prendendo piede in Italia e in Grecia. La Germania ha dimostrato che uno sviluppo diverso è possibile. Perché non seguite quella strada?». Jeremy Rifkin, il presidente della Foundation on Economic Trends, è venuto a Roma per presentare il suo ultimo libro, La terza rivoluzione industriale, edito da Mondadori. L´appuntamento doveva essere un momento di confronto accademico, è diventato parte di un´attualità drammatica.

L´austerità dei bilanci è sbagliata?
«Non è l´austerità ad essere sbagliata, è la mancanza di un piano di sviluppo che crea i problemi. Per uscire dalla crisi ci vuole una visione del futuro. Bisogna comprendere il nesso fra le tre crisi che abbiamo di fronte, quella finanziaria, quella energetica e quella ambientale. Il carbone e il petrolio, che hanno animato la prima e la seconda rivoluzione industriale, sono in fase di esaurimento, un ciclo di crescita che si pensava come inesauribile è finito. E nel frattempo emergono i danni ambientali prodotti dall´uso dei combustibili fossili perché il carbonio, accumulato sotto terra in milioni di anni e rilasciato all´improvviso in atmosfera, sta modificando il clima».

Insomma abbiamo tre crisi invece di una.
«Ma la somma delle tre crisi offre una possibile soluzione. A patto di sostituire la speranza alla paura, di abbandonare la logica dei divieti e di guardare all´obiettivo da raggiungere: far decollare le aziende impegnate nell´edilizia sostenibile, nelle fonti rinnovabili, nelle telecomunicazioni, nella chimica verde, nella logistica a emissioni zero, nell´agricoltura biologica. La difesa dell´ambiente è un formidabile motore di sviluppo e di occupazione, non un peso: in Italia può dare centinaia di migliaia di posti di lavoro».

Eppure in molti, dovendo tagliare le spese, fanno cadere la scure proprio sugli investimenti ambientali: il governo italiano era arrivato a ridurli del 90 per cento.
«Vuol dire tagliare via il futuro, restare impantanati. Bisogna fare il contrario: traghettare l´economia dalla parte del nuovo perché siamo nel mezzo di un passaggio epocale, il salto dalla seconda alla terza rivoluzione industriale. Il nuovo modello si basa su cinque pilastri: le fonti rinnovabili; la trasformazione delle case in centri di produzione di energia grazie alle micro centrali domestiche; l´idrogeno per immagazzinare l´energia fornita dal sole e dal vento durante i momenti di picco; la creazione delle smart grid, che sono l´Internet dell´energia; le auto con la spina. È una rivoluzione che si completerà entro la metà del secolo».

Tempi lunghi, non scoraggiano gli investimenti immediati?
«No, perché il processo è già iniziato e sia i pericoli da evitare che i vantaggi da ottenere sono presenti qui e ora. Dagli anni Settanta a oggi il numero degli uragani più gravi è raddoppiato. E nell´agosto del 2008, per la prima volta da 125 mila anni, si poteva navigare attorno al Polo Nord perché i ghiacci si erano fusi».

E i vantaggi?
«Faccio un paio di esempi. Rendere più efficienti le case negli Stati Uniti costerebbe 100 miliardi di dollari l´anno ma permetterebbe di risparmiare energia per 163 miliardi di dollari l´anno. E la mobilità, nell´era in cui l´attenzione si sposta dalla proprietà all´accesso alle reti, offre analoghe opportunità. Zipcar, la più importante società di car sharing, in un decennio di attività ha aperto migliaia di sedi per mettere le auto condivise a disposizione dei suoi clienti: cresce del 30 per cento l'anno e nel 2009 ha fatturato 130 milioni di dollari».

Non c´è il rischio che questa prospettiva affascini i paesi più industrializzati, mentre gli altri continuano a produrre e inquinare sulla vecchia strada?
«La cronaca ci racconta una storia diversa: in Cina si moltiplicano le battaglie per conquistare uno spazio libero all´interno delle reti globali, in Nord Africa abbiamo visto che dittature brutali sono state rovesciate attraverso il tam tam dei social media. Il potere laterale, cioè il diritto all´accesso alle reti dell´informazione e dell´energia è la nuova frontiera capace di mobilitare la generazione di Internet. Oggi lo scontro non è tra destra e sinistra ma tra un modello accentrato, autoritario e inefficiente e un modello basato sul decentramento, sulla trasparenza e sulla libertà di accesso alle reti».

Postilla

Giustissima le tesi di Rifkin. Il fatto è che, per ottenere quel risultato, la locomotiva non può essere costituita un sistema economico che ha nella produzione di merci finalizzata alla massima accumulazione di profitto il suo obiettivo determinante. Uscire dalla triplice crisi (che è la crisi del capitalismo) senza uscire dalle finalità del sistema capitalistico non più facile che far passare un cammello (o anche un topo) dalla cruna di un ago.

24 ott 2011

Alla fine ci salva sempre la cara vecchia agricoltura

Di Carlo Petrini, 23.10.2011
«Per garantire il futuro non sarà tanto questione di quali tecnologie ci inventeremo, ma in quale paradigma le vorremo calare». La Repubblica, 22 ottobre 2011

Premettendo che ogni previsione su come sarà il mondo tra duecento anni è un esercizio che si lascia volentieri ai premi Nobel, la visione nel nuovo libro di Robert B. Laughlin offre spunti interessanti. Il tema è l´energia, ma soprattutto l´agricoltura. La tanto bistrattata agricoltura, ritenuta da moltissimi un settore marginale, data così tanto per scontata da essere trascurata, lasciata per troppo tempo e con troppo potere in mano a un sistema agroindustriale globale che ha finito con il metterla in ginocchio, prima nei paesi poveri e ora anche in quelli ricchi. E sempre con effetti nefasti per ambiente, contadini e consumatori.

Laughlin sostiene che tra due secoli l´agricoltura sarà fondamentale per continuare a garantirci la vita. Dice che il settore agricolo sarà il principale produttore di energia nell´era post-fossile. L´idea di coltivare oceani e deserti per non far entrare in competizione cibo ed energia è molto affascinante e neanche tanto fantascientifica. Però bisogna ricordare che il cibo stesso è energia, perché ci nutre e ci fa muovere e perché cresce grazie alla fotosintesi clorofilliana, dunque all´energia del sole. L´agricoltura è sempre stata, lo è oggi e sempre sarà ciò che ci garantisce la vita.

Una volta presa coscienza di questo assunto banale ma un po´ troppo spesso dimenticato, va però fatto un discorso su come dovrebbe essere l´agricoltura del futuro. Che si debba cambiare profondamente, che la si debba rinnovare è un atto dovuto anche per il palese fallimento del modello intensivo-industriale che ha dominato l´ultima metà di secolo. Che l´interazione tra produzione di cibo e produzione di energia sia già nelle cose è dimostrato poi da come facilmente molte aziende agricole facciano già le due cose insieme. Il problema è che quando prevalgono la concentrazione, l´inseguimento di presunte economie di scala, l´idea per cui l´agricoltura è come uno qualsiasi dei settori industriali - e risponde alle stesse leggi economico-produttive - cibo ed energia saranno sempre in competizione tra di loro. Non bisogna fare "cibo o energia", ma "cibo e energia". Potremo coltivare gli oceani, i deserti e anche gli altri pianeti, ma senza cambiare il nostro modo di pensare continueremo sempre a risolvere un problema creandone un altro.

Sono sicuro che ci saranno innovazioni importanti in campo energetico, e tecnologie sempre più pulite per sfruttare direttamente o indirettamente l´energia solare (l´unica vera, enorme, sicura, perenne centrale che ci fa piovere addosso, in ogni momento, enormi quantità di energia) con tutte le forme che ne derivano. Ma ci vorrà la consapevolezza che tutto questo andrà realizzato in un sistema complesso che non dovrà più essere governato in maniera centralizzata. Ci vorrà un sistema capillare, diffuso, in cui le comunità e le persone diventano produttrici di cibo ed energia prima di tutto per se stesse e poi per gli altri, in rete tra di loro. È necessaria una democratizzazione della produzione energetico-agricola, con tecnologie accessibili che si diano come obiettivo primario la sostenibilità dei processi e non la possibilità di realizzare speculazioni. Già ora vediamo come biogas e fotovoltaico, che potrebbero essere dei modi perfetti per integrare la produzione agricola a livello aziendale, in nome del profitto e dei grandi numeri possano diventare altamente insostenibili, ponendosi come alternative, e non complementari, a un´agricoltura che così com´è risulterà sempre perdente, siccome non riesce più a generare entrate dignitose per i contadini. Per garantire il futuro non sarà tanto questione di quali tecnologie ci inventeremo, ma piuttosto in quale paradigma le vorremo calare.