6 mar 2011

i garantisti e la riforma

di Stefano Cappellini

Il merito delle proposte è ineccepibile, la credibilità no

Silvio Berlusconi dice che la riforma della giustizia che sarà presentata giovedì in Consiglio dei ministri è «epocale». In teoria, ha ragione. Le misure anticipate da Alfano sono forti e del tutto condivisibili. Nessun garantista può dissentire. È sacrosanto separare le carriere dei pm da quelle dei giudici, perché il giusto processo si fonda sulla assoluta terzietà del giudice. È sacrosanto lo sdoppiamento del Csm, perché i pm devono avere un organo di autogoverno. È sacrosanta la responsabilità civile dei giudici, su cui gli italiani già si pronunciarono in un lontano e calpestato referendum (1987). Anzi, se si deve giudicare dalle anticipazioni, si potrebbe addirittura rimproverare Alfano di eccesso di prudenza, perché l’obbligatorietà dell’azione penale è un altro tabù che andrebbe infranto con più decisione.

Il problema è però un altro: quanto è credibile un presidente del Consiglio che accompagna l’annuncio della «svolta epocale» con i soliti sguaiati attacchi alla magistratura? Come si fa a dar credito a una maggioranza di governo dove avvocati, avvocaticchi e peones lavorano notte e giorno a escogitare norme ad personam per sottrarre Berlusconi ai processi? Non basta una smentita di Ghedini a rassicurare. L’esperienza insegna che il centrodestra guidato dal Cavaliere è stato capace di proporre e talvolta persino approvare delle leggi vergogna. E anche stavolta, mentre Alfano con profilo quasi british lavora a rifinire il pacchetto della riforma, intorno a lui è tutto un agitarsi di prescrizioni brevi, di cavilli anti-pm, di limitazioni su testimoni d’accusa, mentre è lo stesso Berlusconi ad aver rilanciato ieri una legge sulla intercettazioni, legge anch’essa in sè necessaria. Il fatto è che, laddove servirebbe un argine all’abuso nell’utilizzo e nella pubblicazione indiscriminata delle intercettazioni, il Cavaliere pensa invece a una vera e propria lapide sullo strumento investigativo e sul diritto di cronaca. Non è la stessa cosa.
Non c’è nessuna prova più evidente della giustizia quando si sostiene che Berlusconi è diventato il vero grande ostacolo a una vera stagione di riforme. Qualunque cosa tocchi, viene lordata dal conflitto di interessi, sia esso economico o giudiziario. Al Cavaliere non riesce di tenere per più di qualche ora la parte dell’uomo del fare. La ripartenza dell’esecutivo è un gigantesco bluff. Qualcuno dovrebbe spiegare al premier che è inutile affastellare le agenzie di dichiarazioni sulle riforme in cantiere, cercare di dimostrare che l’esecutivo è di nuovo concentrato sull’agenda reale del paese se poi offre ai media da lui criticati accuse alle istituzioni che inevitabilmente rubano la scena e i titoli al catalogo delle buone intenzioni. Anche la scelta di presentarsi in aula un giorno alla settimana - scelta che va incontro ai suggerimenti del Colle e di chiunque abbia a cuore le istituzioni - è vanificata dall’intenzione dichiarata di trasformare la presenza in un controprocesso. L’aula di un tribunale non è il palco di un comizio. Se il Cavaliere intende usarla come una tribuna politica, rischia di fare più danni che da contumace.
Al tempo stesso, però, una sinistra riformista che si candida al governo del paese non può usare la presenza di Berlusconi come alibi assoluto per non pronunciarsi nel merito dell questioni. È già successo col federalismo, tema sul quale le oscillazioni tattiche - prima il corteggiamento alla Lega con massima apertura di credito, poi il no in Parlamento - hanno impedito di capire quale sia la posizione dei democratici sulla riforma. Non deve avvenire sulla giustizia.
Lo abbiamo detto: questo Berlusconi non è credibile. Se il premier è convinto che approvando la riforma si farà un passo storico, il Pd lo prenda in parola. Lo sfidi. E gli chieda, in cambio del passaggio alla storia e della collaborazione, il ritiro di tutte le norme ad personam, la cessazione della guerra alla magistratura, l’impegno a difendersi dalle accuse con tutti i suoi mezzi (non sono pochi) dichiarando da subito che accetterà la sentenza alla fine del processo. Berlusconi lo farà? Pensiamo di no. Ma almeno il Pd si costruirà l’occasione per spiegare al paese che la riforma della giustizia serve eccome. E che un governo di centrosinistra è pronto a farla, se avrà il sostegno degli elettori.