di Stefano Cappellini
Il merito delle proposte è ineccepibile, la credibilità no
Silvio Berlusconi dice che la riforma della giustizia che sarà
presentata giovedì in Consiglio dei ministri è «epocale». In teoria, ha
ragione. Le misure anticipate da Alfano sono forti e del tutto
condivisibili. Nessun garantista può dissentire. È sacrosanto separare
le carriere dei pm da quelle dei giudici, perché il giusto processo si
fonda sulla assoluta terzietà del giudice. È sacrosanto lo sdoppiamento
del Csm, perché i pm devono avere un organo di autogoverno. È sacrosanta
la responsabilità civile dei giudici, su cui gli italiani già si
pronunciarono in un lontano e calpestato referendum (1987). Anzi, se si
deve giudicare dalle anticipazioni, si potrebbe addirittura rimproverare
Alfano di eccesso di prudenza, perché l’obbligatorietà dell’azione
penale è un altro tabù che andrebbe infranto con più decisione.
Il
problema è però un altro: quanto è credibile un presidente del Consiglio
che accompagna l’annuncio della «svolta epocale» con i soliti sguaiati
attacchi alla magistratura? Come si fa a dar credito a una maggioranza
di governo dove avvocati, avvocaticchi e peones lavorano notte e giorno a
escogitare norme ad personam per sottrarre Berlusconi ai processi? Non
basta una smentita di Ghedini a rassicurare. L’esperienza insegna che il
centrodestra guidato dal Cavaliere è stato capace di proporre e
talvolta persino approvare delle leggi vergogna. E anche stavolta,
mentre Alfano con profilo quasi british lavora a rifinire il pacchetto
della riforma, intorno a lui è tutto un agitarsi di prescrizioni brevi,
di cavilli anti-pm, di limitazioni su testimoni d’accusa, mentre è lo
stesso Berlusconi ad aver rilanciato ieri una legge sulla
intercettazioni, legge anch’essa in sè necessaria. Il fatto è che,
laddove servirebbe un argine all’abuso nell’utilizzo e nella
pubblicazione indiscriminata delle intercettazioni, il Cavaliere pensa
invece a una vera e propria lapide sullo strumento investigativo e sul
diritto di cronaca. Non è la stessa cosa.
Non c’è nessuna prova più
evidente della giustizia quando si sostiene che Berlusconi è diventato
il vero grande ostacolo a una vera stagione di riforme. Qualunque cosa
tocchi, viene lordata dal conflitto di interessi, sia esso economico o
giudiziario. Al Cavaliere non riesce di tenere per più di qualche ora la
parte dell’uomo del fare. La ripartenza dell’esecutivo è un gigantesco
bluff. Qualcuno dovrebbe spiegare al premier che è inutile affastellare
le agenzie di dichiarazioni sulle riforme in cantiere, cercare di
dimostrare che l’esecutivo è di nuovo concentrato sull’agenda reale del
paese se poi offre ai media da lui criticati accuse alle istituzioni che
inevitabilmente rubano la scena e i titoli al catalogo delle buone
intenzioni. Anche la scelta di presentarsi in aula un giorno alla
settimana - scelta che va incontro ai suggerimenti del Colle e di
chiunque abbia a cuore le istituzioni - è vanificata dall’intenzione
dichiarata di trasformare la presenza in un controprocesso. L’aula di un
tribunale non è il palco di un comizio. Se il Cavaliere intende usarla
come una tribuna politica, rischia di fare più danni che da contumace.
Al
tempo stesso, però, una sinistra riformista che si candida al governo
del paese non può usare la presenza di Berlusconi come alibi assoluto
per non pronunciarsi nel merito dell questioni. È già successo col
federalismo, tema sul quale le oscillazioni tattiche - prima il
corteggiamento alla Lega con massima apertura di credito, poi il no in
Parlamento - hanno impedito di capire quale sia la posizione dei
democratici sulla riforma. Non deve avvenire sulla giustizia.
Lo
abbiamo detto: questo Berlusconi non è credibile. Se il premier è
convinto che approvando la riforma si farà un passo storico, il Pd lo
prenda in parola. Lo sfidi. E gli chieda, in cambio del passaggio alla
storia e della collaborazione, il ritiro di tutte le norme ad personam,
la cessazione della guerra alla magistratura, l’impegno a difendersi
dalle accuse con tutti i suoi mezzi (non sono pochi) dichiarando da
subito che accetterà la sentenza alla fine del processo. Berlusconi lo
farà? Pensiamo di no. Ma almeno il Pd si costruirà l’occasione per
spiegare al paese che la riforma della giustizia serve eccome. E che un
governo di centrosinistra è pronto a farla, se avrà il sostegno degli
elettori.