27 giu 2012

l'orto biologico

da: http://www.ortiurbani.net/wp-content/uploads/F.Or_.Tec-LOrto.pdf

L’agricoltura biologica è unanimemente riconosciuta come un metodo produttivo sostenibile, tuttavia non si può parlare di sostenibilità ragionando esclusivamente su concetti tecnici (es. quali prodotti sarebbe bene usare per le fertilizzazioni? Come ridurre il numero di trattamenti antiparassitari?), ma occorre anche considerare una serie di principi etici che siano condivisibili da tutti, agricoltori e non.
Essi sono:
- cura della terra: l’agricoltura biologica vuole riportare in buone condizioni il suolo ed il territorio, ormai degradati da una pluriennale pratica di coltivazione distruttiva ed inquinante;
- cura delle persone: l’agricoltura biologica vuole migliorare la qualità della vita degli agricoltori, dei consumatori, delle generazioni presenti e future, affinché tutti possano beneficiare di alimenti più sani e nutrienti e di un ambiente più salubre;
- limite ai consumi ed agli sprechi: l’agricoltura biologica vuole sostituire il consumo intensivo di erbicidi, fertilizzanti, antiparassitari e acqua con tecniche che, impiegando e riciclando risorse interne all’azienda, permettano ugualmente di nutrire le piante e difenderle dai parassiti.
L’etica dunque non è un optional da usare quando fa comodo, ma dev’essere considerata ogniqualvolta l’agricoltore prende una decisione o esegue un’operazione agronomica; vediamo perché e come, servendoci di due esempi:

Le rotazioni.
La scelta di avvicendare correttamente le colture in modo da prevenire l’accumulo di parassiti nel terreno, invece di ripetere nello stesso appezzamento la coltivazione di poche specie caratterizzate da parassiti comuni, evita il ricorso ad interventi correttivi drastici come la disinfezione del suolo che implica l’uso di potenti veleni. In questo caso l’agricoltore avrà “cura della terra” perché non introdurrà agenti inquinanti nel suolo, avrà “cura delle persone” perché coltiverà senza usare sostanze nocive alla sua e nostra salute, porrà un “limite ai consumi e agli sprechi” perché risolverà il problema senza ricorrere ad alcun intervento chimico, ma semplicemente eseguendo gli avvicendamenti secondo la buona pratica agronomica.

L’uso della paglia per la pacciamatura.  
La paglia è un sottoprodotto della coltivazione dei cereali, in zootecnia viene usata come foraggio, ma nella produzione vegetale, purtroppo, è spesso considerata materiale di scarso valore; la possibilità d’impiegarla per il controllo delle malerbe e la difesa del suolo nella coltivazione degli ortaggi, in sostituzione o in modo complementare all’uso di teli, è un’opportunità virtuosa. Eccellenti risultati si riscontrano nella coltivazione di zucca, melone, anguria, zucchino, pomodoro da salsa.
In questo caso l’agricoltore avrà “cura della terra” perché con la paglia proteggerà il suolo dall’azione destrutturante e erosiva delle piogge e del vento, perché a fine coltura la paglia verrà trinciata ed interrata con conseguente liberazione di principi nutritivi e, soprattutto, conversione in humus, perché la paglia rappresenta un’alternativa non inquinante all’uso di diserbanti. 
L’agricoltore avrà “cura delle persone” perché controllerà le erbe infestanti usando una tecnica che esclude l’impiego di sostanze nocive alla salute (i diserbanti). Infine, porrà un “limite ai consumi e agli sprechi” perché impiegherà in modo intelligente un sottoprodotto della coltivazione dei cereali; perché con l’interramento della paglia restituirà al suolo parte dei principi nutritivi che la coltivazione dei cereali gli avevano sottratto; perché la paglia, intesa come materiale pacciamante, non richiede consumi energetici specifici per la sua genesi, a differenza dei teli; perché la paglia, rispetto ai teli pacciamanti in polietilene, non richiede lo smaltimento in centri di raccolta specializzati; perché se si decide di non interrarla a fine coltura, la paglia può essere raccolta e riutilizzata per le stesse finalità o per fungere da lettiera per gli animali domestici.
Senza queste basi etiche non si può fare vera agricoltura biologica.
La fertilità del suolo non è solo chimica. Accettare questo principio non è cosa da poco, in quanto dal punto di vista pratico e psicologico la sua applicazione implica una grande svolta rispetto alla coltivazione col metodo convenzionale.
Cosa cambia? Ogni giorno l’ortolano dovrà pensare, decidere ed agire considerando la fertilità del terreno come l’insieme di tre tipi di fertilità complementari fra loro e legati da molti nodi:
- fertilità biologica: ossia la presenza di una ricca e diversificata comunità di micro
e macro-organismi;
- fertilità fisica: ossia la presenza di una struttura buona e stabile;
- fertilità chimica: ossia la dotazione di principi nutritivi.
Cosa implicano nella pratica di campo queste tre facce della fertilità?
- Fertilità biologica: si può mantenere e migliorare programmando bene l’avvicendamento delle colture ed eseguendo determinate operazioni colturali che producano un aumento della biodiversità nel suolo. Come? Praticando rotazioni lunghe (cioè di almeno 4 anni), coltivando specie che non condividano gli stessi parassiti affinché sia scongiurato l’accumulo nel terreno di organismi nocivi (es. funghi, nematodi), inserendo il maggior numero di sovesci e fertilizzazioni a base di letame o compost allo scopo di mantenere un’adeguata dotazione di sostanza organica nel terreno che, direttamente o meno, costituisce il substrato alimentare della comunità biotica terricola.
Di conseguenza, nel terreno si genererà uno stato di equilibrio fra popolazioni di organismi utili e nocivi che non solo limiterà la comparsa di parassiti dell’apparato radicale, ma anche quello di parassiti che attaccano le parti verdi delle piante e che possono conservarsi da un anno all’altro sui residui colturali (es. Peronospora delle solanacee, Peronospora delle crucifere, Botrite, Antracnosi del fagiolo, ecc.) oppure in una forma resistente alle avversità (es. sclerozio per la Sclerotinia).
Il mancato rispetto delle regole che individuano un buon avvicendamento porterà inevitabilmente ad un accumulo di organismi dannosi nel terreno per cui, anche dopo soli 3 anni di coltivazione, si cominceranno a notare cali produttivi (esempio di cattivo avvicendamento: pomodoro/peperone/cetriolo/fragola). 
Per raggiungere questi obiettivi l’agricoltore non potrà prescindere dalla conoscenza di com’è fatto il terreno e di quali sono, e come si comportano, gli organismi che insidiano le sue colture. Occorrerà, quindi, riprendere in mano i libri ed eseguire diverse esercitazioni in campo.
Un’altra cosa da tenere conto è che alcune colture, utili per un’esecuzione corretta della rotazione, potrebbero non essere abbastanza remunerate dal mercato ed altre, come i sovesci, addirittura non commercializzabili; nonostante questo, il passaggio dalla teoria alla pratica dovrà essere gestito in modo economicamente conveniente: cosa non semprefacile, ma comunque possibile.
Fertilità fisica: nell’agricoltura convenzionale è stata spesso sottovalutata perché si tendeva a mantenere un’accettabile struttura del terreno solo per mezzo di interventi correttivi (es. arature molto anticipate, energiche fresature, ripetute sarchiature, impiego di macchine molto potenti) trascurando invece l’importanza delle proprietà dell’humus che migliora e rende più stabile la struttura. Col metodo biologico l’agricoltore dovrà:
- dedicare una grande attenzione al benessere dell'apparato radicale delle piante (che a sua volta influenza il benessere generale delle piante) e quindi far sì che la porosità del terreno sia tale da garantire un’adeguata presenza di ossigeno ed acqua per i processi vitali delle radici e degli organismi terricoli: questo in pratica si otterrà lavorando il terreno in tempera, usando macchine poco pesanti, eseguendo interventi correttivi (es. sarchiature), proteggendo il suolo con la tecnica della pacciamatura, consociando le colture, irrigando a goccia, oppure anche a pioggia ma con attrezzature che minimizzino l’azione battente delle gocce sul terreno (es. microsprinklers);
- fare il massimo per mantenere o migliorare il contenuto di sostanza organica/humus del terreno e dunque indirizzare in questo senso le scelte operative in fatto di fertilizzazioni, avvicendamenti, lavorazioni.
In conclusione, sul piano pratico, la soluzione del problema “fertilità fisica del suolo” ruota intorno alla presenza di humus ed alle pratiche colturali ad esso connesse che dovranno essere apprese dall’agricoltore ed eseguite in modo efficiente ed economicamente conveniente.
Fertilità chimica: passando a coltivare col metodo biologico l’agricoltore non si troverà più ad avere a disposizione concimi a pronto effetto (es. nitrato d’ammonio) che gli consentivano di effettuare interventi dal risultato immediato, in particolare con la coltura in crescita; la disponibilità di principi nutritivi ora dipenderà dalla mineralizzazione della sostanza organica presente nel terreno, processo svolto da organismi che hanno bisogno di un’adeguata presenza di ossigeno, acqua e temperatura: 
la fertilità chimica del terreno dipenderà dunque anche da quella fisica e biologica. Pertanto occorrerà mettere a disposizione delle colture adeguate quantità di sostanza organica in un terreno ben strutturato.
Non va dimenticato che solo una minima parte della sostanza organica interrata da un sovescio o una letamazione si umifica (al massimo si raggiunge il 30% della sostanza secca), mentre il resto dopo poche settimane inizia liberare buone quantità di principi nutritivi a cui si aggiungono quelle che ogni anno derivano dalla mineralizzazione dell’humus (cioè l’1,8-2,5% della dotazione in humus del terreno, a seconda si passi da un terreno caratterizzato da una elevata presenza di argilla ad un terreno con molta
sabbia). In pratica, bisognerà che l’ortolano coltivi il terreno:
- fertilizzando le colture con sostanza organica umificabile (cioè soprattutto letame o compost) ed impiegando solo all’occorrenza fertilizzanti organici commerciali (es. pellettati vari, sottoprodotti della macellazione);
- inserendo frequentemente sovesci negli avvicendamenti: è auspicabile che si arrivi a farne almeno uno ogni due anni per appezzamento, se non si riesce ad usare regolarmente letame o compost;
- minimizzando le perdite indesiderate di humus e cioè evitando di:
- lasciare il terreno nudo per più di 2-3 mesi, soprattutto d’estate. 
- effettuare lavorazioni del terreno che portino lo strato superficiale (ricco di humus) oltre i 20-25 cm di profondità;
- interrare i residui colturali, i fertilizzanti ed i sovesci oltre i 20-25 cm di profondità.

Dinamismo 
L’ortaggio, in quanto coltura erbacea annuale (sono rare le poliennali), offre all’agricoltore un grande vantaggio rispetto al collega che coltiva piante arboree o seminativi: gli dà la possibilità di scegliere fra più di 40 specie vegetali appartenenti a più di 10 famiglie diverse.

In pratica, in orticoltura si ha la possibilità di:

- diversificare la produzione (e quindi adeguarsi con più facilità alle richieste del mercato);
- ottenere più raccolti in un anno nello stesso appezzamento (a seconda del clima, ci sono colture che in soli 30-40 gg. sono già pronte per la commercializzazione, es. lattuga, spinacio, cetriolo, zucchino)
- beneficiare di un buon numero di varietà caratterizzate da resistenza o tolleranza a diversi parassiti
- diversificare la gestione agronomica del suolo con benefici:
- nel controllo delle malerbe (è possibile alternare colture sarchiate e non, pacciamate e non, giocare sulla densità di semina e sulla diversa stagionalità delle colture, effettuare sovesci, ecc.);
- nel mantenimento della fertilità del suolo (ci sono più opportunità per regolare il bilancio umico, è possibile inserire nell’avvicendamento leguminose da reddito, eseguire diversi tipi di lavorazione del terreno e sovesci, ecc.);
- nel controllo degli organismi dannosi (è possibile eseguire con più facilità lunghe rotazioni).

La vera ricchezza sta nella diversità è uno dei motti più importanti dell’agricoltura biologica e farlo proprio è fondamentale per operare nella direzione giusta. Alcune regole per aumentare la diversità nella proprio orto urbano:
- no alle rotazioni brevi
- no agli appezzamenti troppo grandi
- sì alle consociazioni
- sì alla coltivazione a strisce
- sì ai sovesci
- si al letame e compost 
-sì alle infrastrutture ecologiche.