È certo che anche se Berlusconi andasse via, per molto tempo
rimarrà tra noi come categoria dello spirito. Durante questo ventennio
ha terremotato l'apparato statale infilandovi dentro la Lega antistatale
e secessionista. Dalle abitudini al linguaggio, ha "smontato" lo Stato
di FRANCESCO MERLO
È la normalità, la tanto attesa normalità, che ha reso storica la
lunga giornata di ieri anche se ci vorrebbe un governo Monti delle anime
e dei sentimenti e dei valori per liberare l'Italia dal berlusconismo.
Nessuno dunque si illuda che sia davvero scaduto il tempo. Certo, alla
Camera lo hanno giubilato, gli hanno fatto un applauso da sipario: è
così che si chiude e si dimentica, con l'applauso più forte e più
fragoroso che è sempre il definitivo.
Poi Napolitano è riuscito a
dare solennità anche all'addio di Berlusconi che sino all'altro ieri si
era comportato da genio dell'impunità inventando le dimissioni a rate.
Che lui nascondesse una fregatura sotto forma di sorpresa è stato il
brivido di ieri, e difatti, inconsapevolmente, nessuno si è lasciato
troppo andare e la festa, sino all'annuncio ufficiale delle dimissioni,
più che sobria è stata cauta. Di sicuro Berlusconi non ha avuto il lieto
fine. Entrato in scena cantando My Way ne è uscito con lo Zarathustra
che premia "il folgorante destino di chi tramonta".
Dunque non
c'è stato il 25 luglio, non la fuga dei Savoia né la fine della Dc, né
tanto meno la tragedia craxiana, nessuno ha mangiato mortadella in
Parlamento come avvenne quando cadde Prodi, non c'è stato neppure
l'addio ai monti di Renzo anche se nessuno sa cosa farà Berlusconi, se
rimarrà in Italia o invece andrà in uno dei degli ospedali che dice di
avere regalato nei luoghi
del Terzo Mondo. Tutti parlano, probabilmente a vanvera, di una
trattativa parallela e coperta sui processi, di un salvacondotto e di
un'amnistia che non hanno mai riguardato in Italia reati come la
corruzione e lo sfruttamento della prostituzione. In un Paese normale la
rimozione di un capo non produce mai sconquassi e siamo sicuri che il
pedaggio che paghiamo alla normalità non sarà l'enorme anormalità di un
pasticcio giuridico.
È comunque certo che, anche se Berlusconi si
rifugiasse ad Antigua, per molto tempo rimarrà tra noi come categoria
dello spirito. Ecco perché ci vorrebbe una banca centrale della civiltà
per commissariare il Paese dove Berlusconi "ha tolto l'aureola a tutte
le attività fino a quel momento rispettate e piamente considerate. Ha
trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo di
scienza in salariati da lui dipendenti".
Dunque neppure nello
storico giorno in cui è stato accompagnato fuori con il suo grumo di
rancore invincibile e lo sguardo per sempre livido, è stato possibile
accorarsi e simpatizzare. Non c'è da intonare il requiem di Mozart o di
Brahms per l'uomo più ricco d'Italia che ha comprato metà del Parlamento
e ha ordinato di approvare almeno 25 leggi ad personam. E ha
terremotato lo Stato infilandovi dentro la Lega antistatale e
secessionista. E mentre i suoi ministri leghisti attaccavano la bandiera
e l'unità dello Stato, Berlusconi organizzava la piazza contro i
tribunali di Stato, la Corte costituzionale, il capo dello Stato. Anche
il federalismo non ha preso, come negli Usa e in Germania, la forma
dello Stato ma dell'attacco al cuore dello Stato. Avevamo avuto di tutto
nella storia: mai lo statista che lavorava per demolire lo Stato.
Quanto tempo ci vorrà per rilegittimare i servitori dello Stato, dai
magistrati ai partiti politici, dagli insegnanti ai bidelli ai
poliziotti senza soldi e con le volanti a secco?
E quante
generazioni ci vorranno per restituire un po' di valore all'università,
alla scuola e alla cultura che Berlusconi ha depresso e umiliato: contro
i maestri, contro gli insegnanti, contro tutti i dipendenti pubblici
considerati la base elettorale del centrosinistra, e contro la scuola
pubblica, contro il liceo classico visto come fucina di comunisti. E ha
degradato la più grande casa editrice del Paese a strumento di
propaganda (escono in questi giorni i saggi di Alfano, Sacconi, Bondi,
Lupi....). Ha corrotto una grande quantità di giornalisti come mai era
avvenuto. Ha definitivamente distrutto la Rai affidata ad una gang di
male intenzionati che hanno manipolato, cacciato via i dissidenti,
lavorando in combutta con i concorrenti di Mediaset. E con i suoi
giornali e le sue televisioni ha sfigurato il giornalismo di destra che
aveva avuto campioni del calibro di Longanesi e Montanelli. Con lui la
faziosità militante è diventata macchina del fango. Testate storiche
sono state ridotte a rotocalchi agiografici. E ha smoderato i moderati,
ha liberato i mascalzoni dando dignità allo spavaldo malandrino, ai
Previti e ai Verdini, ai pregiudicati, e c'è un po' di Lavitola, di Lele
Mora e di Tarantini in tutti quelli che gli stanno intorno, anche se
ora li chiama traditori. Berlusconi, che fu il primo a circondarsi di
creativi, di geniacci come Freccero e Gori ha umiliato la modernità dei
nuovi mestieri, della sua stessa comitiva, l'idea di squadra che
all'esordio schierava a simbolo Lucio Colletti e alla fine ha schierato a
capibranco Tarantini, Ponzellini, Anemone, Bisgnani, Papa, Scajola,
Bertolaso, Dell'Utri, Verdini, Romani, Cosentino. Eroi dei giornali di
destra sono stati Igor Marini e Pio Pompa. I campioni dell'informazione
berlusconiana in tv sono Vespa, Fede e Minzolini. Persino il lessico è
diventato molto più volgare, il berlusconismo ha introdotto nelle
istituzioni lo slang lavitoilese, malavitoso e sbruffone. E'stato il
governo del dito medio e del turpiloquio, è aumentato lo 'spread'tra la
lingua italiana e la buona educazione.
E la corruzione è
diventata sacco di Stato e basta pensare agli appalti per la
ricostruzione dell'Aquila, assegnati tra le risate della cricca.
Berlusconi ha dissolto "tutti i tradizionali e irrigiditi rapporti
sociali, con il loro corollario di credenze e venerati pregiudizi. E
tutto ciò che era solido e stabile è stato scosso, tutto ciò che era
sacro è stato profanato". Persino la bestemmia è diventata simonia
spicciola, ufficialmente perdonata dalla Chiesa in cambio di privilegi,
scuole e mense. Toccò, nientemeno, a monsignor Rino Fisichella spiegare
che, sì, la legge di Dio è legge di Dio, ma "in alcuni casi, occorre
"contestualizzare" anche la bestemmia". E quanto ci vorrà per far
dimenticare la diplomazia del cucù e delle corna, lo slittamento dal
tradizionale atlantismo verso i paesi dell'ex Unione Sovietica, la
speciale amicizia con i peggiori satrapi del mondo?
E mai c'era
stata una classe dirigente maschile così in arretrato di femmina
verrebbe da dire con il linguaggio dell'ex premier: femmina d'alcova,
esibita e valutata come una giumenta, con il Tricolore sostituito con
quella grottesca statuetta di Priapo in erezione che circolava -
ricordate? - nelle notti di Arcore. Persino il mito maschile della donna
perduta e nella quale perdersi, persino la malafemmina italiana è stata
guastata da Berlusconi, ridotta a ragazza squillo della politica:
l'utilitaria, il mutuo, seimila euro, l'appartamentino, un posto di
deputato e forse di ministro per lucrare il compenso - "il regalino" -
agli italiani. Lo scandalo del berlusconismo non è stato comprare sesso
in un mondo dove tutto è in vendita ma nel pagare con pezzi di Stato,
nell'uso della prostituzione per formare il personale politico e
selezionare la classe dirigente. E non è finita: se la prostituzione ha
cambiato la politica, anche la politica ha cambiato la prostituzione. La
Maddalena ha perso la densità morale che fu una forza della nostra
civiltà, è diventata la scialba ragazzotta rifatta dal chirurgo ed
educata dalla mamma-maitresse a darla via a tariffa.
Il
berlusconismo è stato l'autobiografia della nazione per dirla con Croce,
non un accidente della storia. Non basta certo una giornata
solennemente normale per liberarcene. C'è bisogno di anni di giornate
normali. E per la prima volta non saranno gli storici a mettere in
ordine gli archivi di un'epoca. Ci vorranno gli antropologi per
classificare il berlusconismo come involuzione della specie italiana,
perché anche noi, che siamo stati contro, l'abbiamo avuto addosso: "Non
temo il Berlusconi in sé - cantava Gaber - ma il Berlusconi in me".
(13 novembre 2011)