9 giu 2012

la Città Giardino del Futuro

 … o del Passato remoto?
Data di pubblicazione: 08.06.2012

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I nipotini della Thatcher col loro mito vittoriano un po’ caricaturale rischiano di produrre mostri, come certe idee di sostenibilità in urbanistica nei piani in formazione

Recentemente nel dibattito sulla riforma complessiva del sistema di pianificazione britannico (che non comprende solo gli aspetti urbanistici, ma anche la legge sul localismo e la partecipazione, i provvedimenti per la casa legati all’assistenza sociale ecc.) si è inserita autorevolmente la Town and Country Planning Association, con un documento di ampio respiro che auspica un ritorno allo spirito originario delle Città Giardino, declinate secondo i contemporanei criteri della sostenibilità e della risposta ai nuovi obiettivi sociali, economici, climatici, energetici. Di particolare interesse, visto il tipo di interlocutore politico governativo, a dominanza Tory, era il sostanziale ottimismo con cui la TCPA sembrava leggere tutto il percorso di riforma prospettato e sin qui attuato dalla coalizione conservatori-liberali, in particolare riguardo alle potenzialità di un nuovo patto fra stato centrale e territori, fra pubblico e privato, fra esigenze ambientali e di crescita economica.

Anche altre associazioni, come la Campaign to Protect Rural England, o il prestigioso National Trust (che conta fra i suoi iscritti tale David Cameron) pur nella chiarezza delle posizioni rispetto alla riforma del Planning Framework avevano dato segnali analoghi. Ma questo atteggiamento, a ben vedere e abbastanza ovviamente nella logica conservazionista, si spiegava in sostanza “in negativo”, ovvero una volta messo al sicuro il proprio territorio di beni culturali e paesaggi da tutelare, il resto non importava gran che. Profondamente diverso il caso TCPA, che nell’evocare alcuni caratteri del programma originale di Ebenezer Howard (un po’ meno le prospettive stataliste delle New Town post belliche) indicava linee forti di possibile sinergia coi programmi neoliberali di nuova partecipazione pubblico-privata allo sviluppo nazionale, in una prospettiva di sostenibilità al tempo stesso ambientale ed economico-sociale. Ora però arrivano i fatti, che come tutti sanno aiutano a capire meglio cosa c’è dentro le dichiarazioni di principio. 
Non paiono tanto consolanti, questi fatti. Lo si era visto già con i progetti in joint-venture delle eco-città all’epoca di Gordon Brown, miseramente crollati proprio studiandone la sostenibilità, spesso ridotta a trucchetti ridicoli come travestire burocraticamente da “recupero di area dismessa” la cementificazione di ettari di pascoli, o calcolare la riduzione delle emissioni senza tener conto dei trasporti privati. Ma si trattava appunto di progetti di iniziativa privata, anche se in collaborazione con comuni e contee. Quello che è stato pubblicato questa settimana dal Warwick District Council però è un piano urbanistico, o per meglio dire un allegato-linea-guida che rafforza (o dovrebbe rafforzare) gli indirizzi generali del nuovo piano urbanistico, oggi nella fase di dibattito pubblico. Il titolo riecheggia esplicitamente e volutamente proprio quello della TCPA: Garden Towns, Villages and Suburbs: a Prospectus. ma chi ci cercasse, con tutte le attenuanti del caso, una vaga ombra della carica utopica e riformatrice di Howard, sarebbe a dir poco deluso. Al massimo, siamo dalle parti di uno di quegli opuscoletti in stile new urbanism che qualche amministrazione americana prova cautamente a inserire nei piani locali, sperando di convincere gli operatori ad allontanarsi un pochino dal modello della villettopoli coatta. Ma niente di più.

Ecco, se la Città Giardino è evocata, in questa prima piccola prova “istituzionale” del nuovo corso urbanistico di centrodestra, lo è nei suoi aspetti storicamente deteriori, ovvero prima nella citazione del villaggio tradizionale britannico voluta a suo tempo e abbastanza casualmente da Raymond Unwin (e che non a caso tanti critici avevano sfottuto), e poi nel lodevole ma sconfitto modello di adattamento alla mobilità automobilistica introdotto da Stein-Wright a Runcorn, non certo prototipo di sostenibilità come voleva essere, ma madre involontaria di tutti i cul-de-sac dell’urbanizzazione dispersa. L’allegato al piano del Warwick District Council, insomma, più che insediamenti sostenibili evoca certa comunicazione immobiliare da televisioni private, naturalmente di alto profilo, e altrettanto naturalmente inserita in un programma di sviluppo locale anziché appesa al nulla di uno svincolo o di una rotatoria in mezzo ai campi.

Si legge anche dell’esigenza di coordinare casa, servizi, posti di lavoro, trasporti … ma pare proprio il minimo, trattandosi appunto di un documento urbanistico pubblico. Resta aperto il dubbio: ma saranno tutti così, questi piani sedicenti sostenibili? Queste Città Giardino che ricordano più la omonima lottizzazione speculativa immersa nel verde voluta in pieno ‘800 dal magnate Alexander Stewart, che non l’utopia sociale di Ebenezer Howard a cavallo fra i due secoli? Vedere per credere, disegnini compresi, nel pdf scaricabile di seguito.

6 giu 2012

perché si stanno spostando a ovest?

La rottura della faglia e le scosse: perché si stanno spostando a ovest?

1 I picchi più intensi dei terremoti che hanno colpito la pianura Padana si sono mossi nel tempo, non hanno cioè colpito sempre lo stesso luogo. Dove si sono scatenati?
I geofisici scrutano con attenzione i punti in cui la terra trema più violentemente perché rappresentano dei punti di riferimento attorno ai quali costruire delle spiegazioni su quello che succede nel sottosuolo. Si tratta di un’arte complicata dal fatto che non sono note in dettaglio le caratteristiche sotterranee e, soprattutto, come il suolo stia reagendo dopo la scossa violenta (5.9 della scala Richter) del 20 maggio scorso, preceduta nella stessa area qualche ora prima da un sisma della magnitudo di 4,1.
L’ipocentro era a 6,3 chilometri di profondità tra le provincie di Modena (Finale Emilia), di Ferrara, Rovigo e Mantova. Immediatamente dopo venivano rilevati un paio di picchi (il maggiore 5.1 della scala Richter) che colpivano invece leggermente più ad est. Ma a segnare l’andamento in maniera più marcata e nella direzione opposta, cioè verso ovest, era il grappolo di terremoti del 29 maggio (5.8 della scala Richter, il primo) seguito rapidamente da altri due con valori intorno ai cinque gradi (5.3 il massimo). Questa è stata la giornata con il maggior numero di picchi massimi scatenati tutti nella mattinata.
L’evento allargava il fronte del sisma di una decina di chilometri raggiungendo così i cinquanta chilometri.
Il terzo atto si registra il 3 giugno (con 5.1 della scala Richter). E si manifesta nella stessa area del precedente del 29 maggio, quindi sempre in direzione ovest.
2 A questo punto si può pensare che, se ci saranno altre scosse, continueranno sempre verso occidente?
Naturalmente non si può sapere perché è impossibile predire quando, come e dove si manifestino. Si può per il momento tracciare un andamento che servirà poi, una volta il fenomeno sia ritenuto concluso, a descrivere il suo svolgimento e tracciarne la storia. La migrazione dei picchi, cioè il loro andamento, è interessante per ipotizzare ciò che accade.
3 Ma perché questo modo di procedere?
La prima scossa, la più violenta, è quella che ha segnato l’evento. Tutte le altre che si stanno succedendo sono ritenute la coda del colpo più intenso. E rientrano in un quadro conosciuto e ipotizzabile.
4 Qual è il meccanismo che provoca la successione degli eventi nel tempo?
Tutto avviene in una fascia di sottosuolo tra i dieci e i quindici chilometri di profondità. L’energia che si era accumulata in centinaia di anni, ad un certo punto si è scaricata il 20 maggio causando il primo sisma. Ma quel giorno il livello della sua intensità non aveva evidentemente liberato tutta l’energia generata dalla spinta degli Appennini verso le Alpi. Anzi se ciò fosse accaduto si sarebbe verificato un terremoto ben più forte dei 5.9 gradi di magnitudo con effetti ancora più disastrosi per l’ambiente e soprattutto per la popolazione.
5 Da quel momento massimo la rimanente energia dove è finita?
Continua ad uscire con gli eventi che vengono registrati in grande numero. La quantità totale deve essere stata consistente se riesce a farsi sentire periodicamente con livelli che superano i cinque gradi oltre alla intensa sequenza di piccole scosse.
6 Ma, in pratica, che cosa sta succedendo nel sottosuolo?
Tutta l’area caricata nel tempo si sta rompendo in piccoli pezzi lungo una linea di faglia est-ovest continuando un processo innescato il 20 maggio con la rottura più rilevante. Il punto è che il tipo di frammentazione delle strutture sotterranee dipende dalla distribuzione delle caratteristiche geologiche che i geologi non conoscono e non possono certo immaginare a tavolino.
7 Quindi il fenomeno potrebbe proseguire a lungo?
Questo non è possibile dirlo anche per un altro motivo. Oltre alla quantità di energia che entra in gioco e deve sfuggire, interviene un fenomeno di influenza nella sequenza delle fratture che è oltremodo eterogeneo e va a complicare ulteriormente le cose e, insieme, la loro spiegazione.
8 Come è possibile tenere sotto controllo una situazione così diffusa e complessa?
L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) segue gli eventi avvalendosi della «Rete accelerometrica nazionale-Ran» distribuita in tutte le regioni della Penisola. Nel 1997 era gestita dall’Enel e disponeva di 237 stazioni analogiche. Oggi invece è controllata dal Servizio di monitoraggio sismico del territorio della Protezione Civile e, dopo aver iniziato nel 2007 la conversione della tecnologia, adesso è formata da 464 stazioni digitali che convogliano i dati al centro di acquisizione Ran di Roma.
Tutti gli strumenti misurano le accelerazioni del suolo.
Dopo il primo sisma nella Val Padana sono state installate altre stazioni mobili per aumentare il dettaglio nel controllo del fenomeno. Nell’occasione sono scesi anche i geofisici francesi con i loro apparati per cui, complessivamente, si sono aggiunti oltre una trentina di nuovi rilevatori.
(Le risposte sono state redatte con la collaborazione di Massimo Cocco dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia).
di Giovanni Caprara, corriere.it