di Angelo d’Orsi su "il Manifesto", 21 dic.
Quando il signor B divenne un attore della scena politica nazionale, una delle novità da lui portate riguardò il linguaggio; specificamente, al lessico tradizionale della politica se ne sostituì uno nuovo, che faceva un largo impiego del linguaggio sportivo: a partire dall’ormai famosa “discesa in campo”, fu tutto un ricorso alle metafore dello sport, prevalentemente ma non esclusivamente il calcio. In questo ultimo segmento dell’era berlusconiana, sta di nuovo cambiando l’universo linguistico e concettuale di riferimento. Con la confusione tra sfera pubblica e sfera privata, le parole dei sentimenti, dell’affettività, buona e cattiva, sono entrate nel lessico politico, e nelle loro varianti estreme. Come estremo è il clima politico e sociale del paese.
Uno degli argomenti forti di B. è stato “l’odio”: la sinistra ci odia, ha ripetuto a lungo; e, ora, dicono i beninformati, nel suo letto di dolore, avrebbe ripetuto, sconfortato: “ma perché mi odiano?”. Lo stesso ha usato sovente come variante dell’odio – sempre della sinistra – l’invidia. L’invidia sociale: “ci odiano, perché ci invidiano” (del resto in un libro di qualche tempo fa un commentatore ha spiegato “perché la sinistra è antipatica”, dando prova di aver adottato punti di vista e universi di riferimento del berlusconismo). Naturalmente, all’odio si contrappone l’amore. “Noi siamo il partito dell’amore”, aveva ripetuto il signor B riferendosi al suo PdL. Salvo poi dare del “coglione” a chi votava a sinistra, urlare “vergogna” come un ossesso (sembrava un imitatore del tristo figuro Sgarbi) a chi lo contestava; salvo dire che le donne di sinistra sono brutte e che i magistrati (comunisti) sono “malati di mente”; autorizzare i suoi giannizzeri a usare le parole più grevi contro gli avversari.
Si pensi a uno degli eroi emblematici di questo governo, il Brunetta: che si dimena e saltella invitando la sinistra ad “andare a morire ammazzata” o ingiuria una non meglio precisata “élite di merda”, ovviamente di sinistra; si ricordi il La Russa che urla con le vene del collo gonfie: “Devono morire”, riferendosi ai membri della Corte di Bruxelles che aveva appena sentenziato sul crocifisso; si pensi all’ultima performance parlamentare del “disonorevole” Cicchitto (definizione di Paolo Flores): un discorso carico di livore, definito “incendiario” e “irresponsabile” dallo sconcertato presidente dell’Aula. Infine, basti una scorsa alle prime pagine della coppia di quotidiani che costituiscono la voce del padrone, per rendersi conto di quale punto di abiezione si possa raggiungere. Proprio su questi giornali vedemmo la ormai ex consorte del capo, ingiuriata, denudata e additata alla pubblica ignominia; e d’altronde una tv dello stesso signor B additava al ludibrio un magistrato reo di aver emesso una sentenza scomoda per l’azienda di famiglia.
Ebbene, ecco ora il signor B, recitare la parte della vittima sacrificale dell’odio altrui, parlando ancora di “amore” . E quasi novello Ovidio sentenziare: “l'amore vince sempre...". Un’amica mi scrive indignata: “B. ci ha rubato le parole. Tutte. Le ha svuotate di senso... Ha devastato la lingua italiana”. E sempre più furiosa: “Un uomo che ha sbattuto il corpo nudo della moglie, la madre dei suoi figli, in prima pagina, non può parlare di amore. Non può usare questa parola. Questa proprio no". Ebbene, forse una volta segnalata questa ennesima manifestazione non solo delle trasformazioni delle modalità dell'azione e della propaganda politica, ma del degrado morale del paese, dovremmo riflettere alla questione linguistica. Come il Gruppo 63 aveva teorizzato la lotta contro la società borghese destrutturandone il linguaggio, oggi, forse, per ricostruire un minimo di tessuto civile per questa Italia allo sbando, si dovrà lavorare sulla ricostruzione e condivisione di un significato non reversibile delle parole.