di Ulrich Beck, 8 apr.
Società mondiale del rischio significa un’epoca nella quale i lati
oscuri del progresso determinano sempre più i contrasti sociali. Mentre
prima ciò che non stava sotto gli occhi di tutti veniva negato, ora
l’autominaccia diventa il movente della politica. I pericoli nucleari,
il mutamento climatico, la crisi finanziaria, l’11 settembre, seguono in
pieno il copione della Società del rischio, che ho scritto 25 anni fa,
prima della catastrofe di Chernobyl
A differenza dai precedenti rischi industriali, essi (1) non sono
socialmente delimitabili né nello spazio né nel tempo, (2) non sono
imputabili in base alle vigenti regole della causalità, della colpa,
della responsabilità e (3) non possono essere compensati, né coperti da
assicurazione. Dove le assicurazioni private negano la loro protezione -
come nel caso dell’energia nucleare e della tecnologia genetica - viene
sempre superato il confine tra i rischi calcolabili e i pericoli
incalcolabili. Questi potenziali di pericolo vengono prodotti
industrialmente, esternalizzati economicamente, individualizzati
giuridicamente, legittimati tecnicamente e minimizzati politicamente. In
altri termini, il sistema di regole del controllo "razionale" si
rapporta ai potenziali di autodistruzione incombenti come un freno da
bicicletta applicato a un aereo intercontinentale.
Ma Fukushima non si distingue forse da Chernobyl per il fatto che i
terribili eventi giapponesi partono da una catastrofe naturale? La
distruzione non è stata provocata da una decisione umana, ma dal
terremoto e dallo tsunami.
La categoria di "catastrofe naturale" segnala che essa non è stata
causata dagli uomini e quindi la sua responsabilità non può essere
attribuita agli uomini. Ma questo è il punto di vista di un secolo
passato. Questo concetto è sbagliato già per il fatto che la natura non
conosce catastrofi ma, semmai, drammatici processi di trasformazione.
Questi cambiamenti, come uno tsunami o un terremoto, diventano
catastrofi solo nell’orizzonte di riferimento della civiltà umana. La
decisione di costruire centrali nucleari in zone a rischio sismico non è
affatto un evento naturale, ma una scelta politica, che deve anche
essere giustificata a livello politico di fronte alle pretese di
sicurezza dei cittadini e deve essere attuata contro le opposizioni.
La risposta ai rischi moderni è l’idea dell’assicurazione come
"tecnologia morale" (François Ewald). Non è più accettabile che ci si
affidi alla divina provvidenza e si subiscano passivamente i colpi del
destino. Il nostro rapporto con la natura, con il mondo e con Dio cambia
in modo tale che diventiamo responsabili della nostra sventura, ma in
linea di principio disponiamo dei mezzi per compensare le conseguenze da
noi stessi innescate. Si tratta comunque del mito della "vita
assicurata", che a partire dal 18° secolo ha trionfato in ogni ambito.
In effetti siamo riusciti a ottenere il consenso sui precedenti rischi
dell’era industriale legandoli a una sorta di "prevenzione a posteriori"
(vigili del fuoco, assicurazioni, assistenza psicologica e medica,
ecc.). Lo shock che ha colpito la gente di fronte alle spaventose
immagini provenienti dal Giappone consiste anche nel ridestarsi della
consapevolezza che non c’è istituzione, né reale, né immaginabile,
preparata al super-Gau, il "massimo incidente ipotizzabile in una
centrale nucleare", e capace di garantire l’ordine sociale e le
condizioni culturali e politiche anche nel caso di questo disastro dei
disastri. Invece, ci sono molti attori specializzati nell’unica opzione
che appare possibile: la negazione dei pericoli. Infatti, al posto della
sicurezza offerta dalla prevenzione a posteriori subentra il tabù della
impossibilità di errore. Ogni Paese - in particolare, naturalmente, la
Francia, e l’esperto atomico Sarkozy lo sa bene - ha le centrali
nucleari più sicure del mondo! Custodi del tabù diventano la scienza e
l’economia dell’energia nucleare, colte in flagrante proprio dagli
eventi catastrofici che hanno attirato sui loro errori i riflettori
dell’opinione pubblica mondiale. Nel 1986 Franz-Joseph Strauß dichiarò
che solo i reattori nucleari "comunisti" possono esplodere. Egli tentava
così di circoscrivere eventi come Chernobyl, in base all’assunto che
l’Occidente capitalistico superevoluto dispone di centrali nucleari
sicure. Ora però siamo alle prese con l’avaria in Giappone, che viene
considerato il Paese meglio attrezzato del mondo, quello dotato della
tecnologia più sofisticata per garantire la sicurezza. La finzione per
la quale in Occidente si può dormire tranquilli è svanita.
Che in Giappone le rimanenti speranze poggino proprio sull’intervento
delle "forze di autodifesa" chiamate a sostituire con elicotteri
antincendio gli impianti di raffreddamento in avaria, è qualcosa di più
di un’ironia. Hiroshima fu terribile, l’orrore puro e semplice. Ma in
quel caso fu il nemico a colpire. Cosa accade se un fatto così
spaventoso avviene all’interno del sistema produttivo della società -
non in un ambito militare? In questo caso, coloro che minacciano la
nazione sono proprio i garanti del diritto, dell’ordine e della
razionalità, della democrazia stessa. Quale politica industriale sarebbe
più possibile se fosse negata anche la residua speranza del "vento" e
Tokyo fosse contaminata? Quale crisi della tecnologia, della democrazia,
della ragione, della società?
Molti deplorano che le impressionanti immagini provenienti dal Giappone
incutano paure sbagliate e diano impulso ad una "pseudo-scienza" della
compassione. In questo modo, però, essi disconoscono e sottovalutano
ingenuamente la dinamica politica insita nel potenziale di
autodistruzione del trionfante capitalismo industriale. Infatti, molti
pericoli - un esempio da manuale: le radiazioni atomiche - sono
invisibili, sfuggono alla percezione ordinaria. Ciò significa che la
distruzione e la protesta son mediate simbolicamente. Solo constatando
l’impercepibilità di molti pericoli grazie alle immagini televisive il
cittadino culturalmente accecato può tornare a "vedere".
La questione di un soggetto rivoluzionario capace di rovesciare i
rapporti di definizione della politica del rischio cade nel vuoto. Non
sono - o non sono soltanto - i movimenti antinucleari, l’opinione
pubblica critica, ecc. a poter dar luogo a un’inversione nella politica
atomica. In ultima analisi, il contropotere rispetto all’energia
nucleare non sono i manifestanti che bloccano il trasporto del materiale
radioattivo. L’avversario più irriducibile dell’energia nucleare è…
l’energia nucleare stessa!
Nelle immagini delle catastrofi categoricamente escluse dai manager si
dissolve il mito della sicurezza. Quando ci si rende conto e si ha la
prova che i custodi della razionalità e dell’ordine legalizzano e
normalizzano i pericoli per la vita, si scatena il pandemonio nel milieu
della sicurezza burocraticamente promessa. Perciò, non è sbagliato
affermare che all’interrogativo sul soggetto politico della società di
classe corrisponde l’interrogativo su questa "riflessività politica"
nella società del rischio.
Tuttavia, sarebbe un errore trarre da ciò la conclusione che si sia
aperta una nuova fase di illuminismo, beneficamente offertaci dalla
storia. Al contrario, a qualcuno la prospettiva qui tracciata potrebbe
suggerire il paragone con il tentativo di praticare un foro nello scafo
di una nave per far uscire l’acqua del mare penetrata al suo interno.