19 set 2009

Kabul






Kabul, 17 settembre
Mentre si piangono i morti italiani, un chirurgo di Emergency a Kabul racconta che fine fanno i feriti afgani
Non si capisce il perché. O forse il perché è ben chiaro, ma è troppo ripugnante per crederci.
In una città come Kabul, di quattro milioni e passa di abitanti, durante eventi violenti come quello di oggi non esiste la minima possibilità di coordinare le risorse di chi fa attività sanitaria e si occupa di feriti civili, perché buona parte dei pazienti viene trasferita con mezzi militari nell'unico ospedale militare della città: le zone colpite vengono infatti cordonate da militari afgani e di ISAF e alle ambulanze civili non è nemmeno permesso entrare.
Ai rappresentanti dello stesso Ministero della Sanità afgano è stato impedito oggi di entrare nell'Ospedale militare di Kabul e, quindi, solo il ministero della Difesa ha potuto render conto del numero delle vittime civili
Dopo il tragico attentato di oggi, oltre a piangere la morte di alcuni ragazzi italiani, dovremmo piangere la morte e il pessimo trattamento ricevuto da alcune decine di pazienti afgani che sono stati forzatamente trasferiti ed ammassati nella struttura sanitaria dell'esercito, che solo in occasioni come questa si ricorda che può trattare anche civili. Se la motivazione fosse la possibilità di garantire un trattamento migliore, lo si potrebbe comprendere: purtroppo la motivazione vera e non troppo nascosta è che così i pazienti possono essere "interrogati meglio". Nell'Afghanistan democratico, non è tanto importante quanto sei ferito ma quanto sei utile alle indagini.
Il Centro chirurgico di Emergency a Kabul riceve quotidianamente decine di feriti che vengono da tutte le province vicine, ma quando una bomba esplode a 500 metri dall'ospedale, ai pazienti viene reso impossibile esercitare il proprio diritto ad essere curati: per motivi che chi fa attività sanitaria, come me, trova difficile comprendere.

Marco Garatti, chirurgo d'urgenza, lavora con Emergency da dieci anni, molti dei quali passati in Afghanistan. Attualmente è coordinatore medico del Centro chirurgico di Emergency a Kabul.

17 set 2009

l'Aquila, città morta

di Antonio Gasbarrini * , da Il Capoluogo, 17 settembre

Li avevamo aspettati al varco il sig. b. ed il suo servizievole maggiordomo televisivo b. v.. Puntualmente, si sono presentati nella “Terza camera” (da letto..) per reclamizzare l’evento epocale: la consegna delle chiavi del paradiso delle novanta casette lignee antisismiche assegnate alle famiglie in lutto del mini-borgo di Onna, con i suoi 17 martiri uccisi dai nazisti nel giugno del 1944 e con i 41 morti (su 310 abitanti) di un catastrofico terremoto che ha pressoché raso al suolo l’intero abitato. Per dare maggiore rilevanza propagandistica all’evento, i due compari di comune accordo hanno fatto scompaginare l’intero palinsesto delle reti televisive pseudo-pubbliche e private, trasformando così i poveri, disgraziati terremotati onnesi-aquilani, in “materia del contendere” a livello politico, ed infelici, appagate comparse pronte ad addentare il congelato panino del cestino, quale compenso della loro partecipazione alla fiction televisiva in corso di registrazione dal 6 aprile.
Nell’impeccabile regia, un solo particolare è stato sottaciuto dal sig. b.: le chiavi sono state da lui scippate ai legittimi proprietari-donatori: la Provincia di Trento, la Croce Rossa Italiana, altri soggetti privati. Per falsificare gli “atti notarili” ed appropriarsi dell’intero villaggio, è stato sufficiente far incollare nella parte superiore del cartello di cantiere dove erano chiaramente scritti i nomi dei legittimi proprietari, la dicitura Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile.

Perciò, se gli onnesi-aquilani possono aver detto ciao ciao con qualche giorno di anticipo alle ghettizzanti tende o evitare il loro prolungato esilio negli alberghi come sta accadendo con la nevrotica dismissione delle tendopoli, lo devono esclusivamente alla solidarietà nazionale ed internazionale (Germania, in particolare). Altrimenti il loro più prossimo destino, affidato alle avare quanto ingessate mani del Governo e della Protezione Civile, sarebbe stato analogo a quello dei 70.000 concittadini o 100.000 considerando i terremotati dell’intera città-territorio: in 15.000 circa dispersi nella ventina di cementificate little towns; in 10-15.000 rientrati obtorto collo, ed a loro esclusivo rischio, nelle abitazioni della periferia non ancora messe a norma; in 10-20 mila confinati a tempo indeterminato in una camera d’albergo o in una casa presa in affitto: il tutto fa 50.000 aquilani. Ed i 20.000 mancanti (50.000 se consideriamo tutti)? Boh!
Di fronte a tanta confusione, è opportuno fare qualche piccola, pacata riflessione sulla metafisica “città morta” dei passi perduti (ricordate il prolungato struscio lungo il corso e il musicale vociare di facce conosciute?: adesso tra le mura circola solo uno spettrale silenzio), le cui cataste di macerie sono ancora tutte lì ad oltre 150 giorni dalla tremenda botta, quasi che un malefico sortilegio le abbia congelate una volta per sempre. Destinate peraltro ad aumentare, per l’indifferibile necessità di abbattere le centinaia e centinaia di edifici pericolanti (per capire cosa stia realmente succedendo nella “città morta” si vada a Porta Napoli, dove una montagna di nuove macerie ostruisce non solo l’accesso alla città, ma la stessa vista della malconcia porta inaugurata nel 1820 come nuovo ingresso cittadino, in sostituzione dell’antica porta di Bagno posta più ad occidente, tra la Porta Roiana e la Porta Campo di Fossa) e di tutti gli altri che a causa dei mancati puntellamenti cadranno da soli, come effimeri castelli di sabbia, dopo le piogge, le nevicate e le gelate dell’imminente inverno.
..........A generare confusione su confusione all’inaffidabile altalena numerica, sono stati tre infelici, quanto tardivi censimenti: dal primo sono stati esclusi tutti i proprietari di seconde e terze case; il secondo è stato riservato ai dimoranti nelle tendopoli; il terzo a quelli “ricoverati” negli alberghi della cosiddetta costa o “sistematisi” autonomamente. Di conseguenza, una stessa persona o nucleo familiare può comparire simultaneamente in più d’una rilevazioni statistica, mentre altre sono del tutto assenti, come avviene per un proprietario di seconda casa residente in un luogo diverso.

E dire che nel tanto bistrattato, oscurantista Medioevo in cui la figurazione definitiva della magnifica città dell’Aquila prendeva “bellamente” corpo, dopo i due terremoti distruttivi del 1315 e del 1349 (l’anno precedente peste e carestie non l’avevano minimamente risparmiata), era possibile conoscere analiticamente per ognuno dei quattro quarti – grazie al “Catasto conciario della città dell’Aquila e dei castelli del medesimo territorio fatto al tempo del re Ladislao” – provenienza e consistenza numerica dei suoi abitanti, nonché degli edifici. Così possiamo ancor oggi leggere che le comunità più popolose erano per il quartiere di S. Maria i “locali” di Paganica con 180 “fuochi”, per S. Giorgio quelli di Bagno con 140, per S. Pietro, Pizzoli (177) e per S. Giovanni, Lucoli (219), per un totale complessivo di 3.867 “fuochi”.
Ma, non è questo il vero nocciolo di un facilissimo problema reso arduo dall’incompetenza e dall’asinaggine di chi ha gestito l’intera operazione (la benemerita Protezione Civile), del tutto perdente nell’era digitale e della lettura ottica delle schede di rilevazione adottate, rispetto a chi disponeva a mala pena, per le sue precisissime rilevazioni, di carta pergamena, penna d’oca ed inchiostro.Se la tragedia degli onnesi-aquilani è stata stemperata con l’assegnazione delle casette lignee, nell’immediato futuro ben più fosche si presentano le tinte dell’intera città abbandonata precipitosamente, con il suo centro storico interamente sigillato dalla Protezione civile all’indomani del sisma, tuttora del tutto off limits per chiunque voglia rendersi conto, come S. Tommaso, cosa sia realmente successo.
L’inverecondo imbroglio mediatico sta tutto qui: aver messo in un cantuccio i tremendi problemi urbanistici, architettonici, occupazionali, sociali, e perché no, psicologici abbattutisi come un fulmine a ciel sereno sull’intera comunità aquilana, sovrapponendo alle rovine fisiche ed alla galoppante disperazione, le rassicuranti immagini del “miracolo” di Onna e degli altri già preannunciati con la costruzione delle little towns.......
............Tornando a scrutare almeno i contorni della tragica realtà avvinghiante la “città morta”, le deportazioni in corso degli ex dimoranti nelle tendopoli negli sperduti paesini della Marsica e del sulmontino (single, coppie di anziani e giovani, sopratutto), non faranno altro che dare il colpo di grazia alle speranze d’una augurabile rinascita.
Tutti, nessuno escluso, avevano lo stesso diritto degli onnesi: continuare a sopravvivere nei pressi del loro contesto urbano, sociale e ambientale. Sarebbe stato possibile, senza aggiungere un euro in più, se al posto delle cementificate little towns molto appetibili per le organizzazioni mafiose e per i farabutti di ogni risma, si fosse scelta la primitiva opzione dei moduli abitativi in legno.
Così non è stato, anche per la dimostrata incapacità contrattuale degli amministratori locali nei confronti dello strapotere mediatico e non, pericolosamente concentrato nelle mani del sig. b..
L’inaudita violenza psichica che stanno subendo i cittadini aquilani all’atto del loro allontanamento dalle tendopoli dopo oltre cinque mesi d’inferno, con la notifica, tenda per tenda, della nuova destinazione ad opera di un carabiniere o di un militare della guardia di finanza e di un addetto della Protezione Civile, ha fatto cadere definitivamente le tante maschere buoniste appiccicate ad arte sui mendaci volti di commedianti senza scrupoli.
* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA).
Attualmente “naufrago” sulla costa teramana.

15 set 2009

la Tendopoli di Coppito chiude

Tendopoli Coppito, 14 settembre

Cari amici, Fratelli Scout, Volontari e quanti hanno dimostrato la loro solidarietà in tutti questi mesi.
Il campo, come tutti i campi, a breve chiuderà. Le nostre esperienze personali, le notti trascorse tra il fango, il freddo e il sole caldo delle tre del pomeriggio, ci hanno forgiato.
I sorrisi e gli abbracci, le emozioni, il dover consolare anche quando non sapevamo cosa dire, ci hanno fatto crescere tutti insieme, e oggi possiamo dire che abitiamo tutti a Coppito.
Io credo che ognuno di noi tornerà a trovare gli Amici, gli affetti o solo per dire a se stesso di aver combinato almeno una cosa buona nella vita.
Io voglio lanciare una sfida, lontano dai riflettori delle televisioni o dai giornali...
Abbiamo ancora la postapay e vorrei usarla per l'ultima volta, anche se dovessero essere 2 euro a famiglia.
Una sottoscrizione tra Noi tutti da destinare a chi tornerà nelle case, a chi lascerà le tende per tornare costruire qualcosa nella sua vita.
4023600446851208 intestata a Riccardo Girardi scadenza carta 08/13.
http://www.facebook.com/l/6a7c6;www.tendopolicoppito.com

Riccardo