sassi, blocchi, pietre, rocce, massi, pretole, breccole, claps, serci, morge, mazzacani, préte, sanpietrini, brecciolini, macigni...
19 giu 2009
18 giu 2009
17 giu 2009
Nota sull'Assertività
L'Assertività: è assiomatica (non ha bisogno di essere dimostrata) da per scontata l’accettazione dell’enunciato, trasmette sicurezza e competenza.Il termine è stato rivitalizzato dalle scuole comportamentali americane (adsertivness) e indica la capacità di una persona di comunicare (un ordine, una opinione, un giudizio , ma anche una lezione, una esposizione, scrivere una lettera, ecc,) in modo da non lasciare molto spazio a titubanze, obiezioni, dissensi. Il nostro corso si ispira a diverse scuole psicologiche, tuttavia per comunicare su un multimedia o sul web può essere molto utile avere una prosa ed una grafica assertiva.La definizione esatta.Viene dal latino “ ad serere”, condurre a sé. Cosa non è.Spesso nel linguaggio comune si parla di “asserire” per indicare qualcuno che sostiene una versione non condivisa. Se qualcuno ci dice “L’uomo alla guida asserisce che il semaforo fosse ancora giallo” dentro di noi sorge subito il dubbio che giallo non fosse. L’assertività è esattamente il contrario: quando l’assertivo dice qualcosa, a nessuno viene in mente di metterla in dubbio. Spesso si pensa alla persona assertiva come una persona prepotente, supponente, che non accetta il dialogo e impone a tutti i costi le sue idee. Non è così, si diventa arroganti quando il gioco prende la mano, e in quel preciso momento si perde ogni potere assertivo; il carisma assertivo non ha bisogno di annichilire nessuno.L’imperatore, per la porta di giada dell’assertività, invia ben’altri messaggi.L’assertivo non ha troppe esitazioni o titubanze, o giri di parole: va diritto allo scopo. Il suo linguaggio è diretto.Come per l’ empatia, ciascuno possiede un suo grado di assertività.L’assertività non è una caratteristica costante della personalità: si può essere assertivi in modo positivo solo per un certo periodo del giorno, dell’anno e della vita. Infatti per avere delle certezze bisogna arrivarci, quindi occorre passare dal dubbio e dall’ascolto per avere carisma assertivo. L’assertività fa la differenza tra autorità e autoritarismo. Il caporale che grida non è assertivo ma violento, minaccioso. E’ l’equivoco dei militari. L’assertività ottiene il suo scopo ed è credibile senza l’usa di minacce, costrizioni , violenze. Quando parla un assertivo non ha bisogno di alzare la voce, basta lo sguardo fermo e la voce appoggiata su un solidi respiro: sentiamo che ha ragione o che è convinto a fondo di quello che dice.
L'Assertività: è assiomatica (non ha bisogno di essere dimostrata) da per scontata l’accettazione dell’enunciato, trasmette sicurezza e competenza.Il termine è stato rivitalizzato dalle scuole comportamentali americane (adsertivness) e indica la capacità di una persona di comunicare (un ordine, una opinione, un giudizio , ma anche una lezione, una esposizione, scrivere una lettera, ecc,) in modo da non lasciare molto spazio a titubanze, obiezioni, dissensi. Il nostro corso si ispira a diverse scuole psicologiche, tuttavia per comunicare su un multimedia o sul web può essere molto utile avere una prosa ed una grafica assertiva.La definizione esatta.Viene dal latino “ ad serere”, condurre a sé. Cosa non è.Spesso nel linguaggio comune si parla di “asserire” per indicare qualcuno che sostiene una versione non condivisa. Se qualcuno ci dice “L’uomo alla guida asserisce che il semaforo fosse ancora giallo” dentro di noi sorge subito il dubbio che giallo non fosse. L’assertività è esattamente il contrario: quando l’assertivo dice qualcosa, a nessuno viene in mente di metterla in dubbio. Spesso si pensa alla persona assertiva come una persona prepotente, supponente, che non accetta il dialogo e impone a tutti i costi le sue idee. Non è così, si diventa arroganti quando il gioco prende la mano, e in quel preciso momento si perde ogni potere assertivo; il carisma assertivo non ha bisogno di annichilire nessuno.L’imperatore, per la porta di giada dell’assertività, invia ben’altri messaggi.L’assertivo non ha troppe esitazioni o titubanze, o giri di parole: va diritto allo scopo. Il suo linguaggio è diretto.Come per l’ empatia, ciascuno possiede un suo grado di assertività.L’assertività non è una caratteristica costante della personalità: si può essere assertivi in modo positivo solo per un certo periodo del giorno, dell’anno e della vita. Infatti per avere delle certezze bisogna arrivarci, quindi occorre passare dal dubbio e dall’ascolto per avere carisma assertivo. L’assertività fa la differenza tra autorità e autoritarismo. Il caporale che grida non è assertivo ma violento, minaccioso. E’ l’equivoco dei militari. L’assertività ottiene il suo scopo ed è credibile senza l’usa di minacce, costrizioni , violenze. Quando parla un assertivo non ha bisogno di alzare la voce, basta lo sguardo fermo e la voce appoggiata su un solidi respiro: sentiamo che ha ragione o che è convinto a fondo di quello che dice.
16 giu 2009
Il G8 cancella l’antica ferrovia
Viaggio sul tracciato della L’Aquila-Capitignano vicino all’Aterno.
di Giustino Parisse
SAN VITTORINO. Quando ero ragazzino c’era una canzone di Mino Reitano intitolata «Il tempo delle more». Era un inno alla primavera, alle passeggiate all’aria aperta, alla fuga dal caos della grande città. Ho ripensato a quella canzone quando il mio direttore, Luigi Vicinanza, mi ha segnalato una lettera arrivata con la posta elettronica. Nell’e-mail si parlava di una stradina di campagna - dove si andava in bicicletta o a cercare le more - che stava diventando una superstrada.Ieri pomeriggio sono andato a cercare quella stradina. Mi sono fatto accompagnare dall’architetto Giancarlo De Amicis. Anche lui il sei aprile ha perso la casa e ora abita a Marruci, una frazione di Pizzoli. De Amicis l’ho conosciuto alcuni anni fa perché mi venne a parlare di uno studio fatto da lui in collaborazione con la Provincia (in particolare con Francesco Fucetola) che aveva come obiettivo la valorizzazione dell’area fluviale dell’Aterno, da Montereale a Monticchio. Di quell’area conosce ogni angolo e sentiero. E ha una documentazione fotografica sterminata.Ci siamo diretti verso Preturo e il mio accompagnatore ha subito individuato una strada sterrata, via delle Vicenne. Le buche hanno fatto sobbalzare non poco la macchina. A destra e a sinistra i ruscelli di Rio Forcella incastonati fra alberi e siepi.Lungo il percorso tanti prati, qualche orto e un paio di agricoltori al lavoro.E’ bastato fare duecento metri ed ecco che sullo sfondo sono comparsi camion, ruspe, betoniere. E’ il cantiere per realizzare una strada a scorrimento veloce che dalla statale 80, proprio davanti al teatro romano di San Vittorino e a poche centinaia di metri dall’anfiteatro, porterà alla scuola della Guardia di Finanza a Coppito dove a luglio ci sarà il G8 con tutti i grandi del mondo che, fra una discussione e l’altra sulle sorti del pianeta, si muoveranno per andare a vedere i paesi del terremoto. Dopo il Papa e tutte le più alte cariche istituzionali italiane ed europee nella mia Onna arriverà anche il presidente degli Stati Uniti, Obama.
L’architetto De Amicis mi fa notare che, nascosta fra mezzi meccanici e montagne di terra e sabbia, c’è la piccola stazioncina di San Vittorino, sul percorso della L’Aquila -Capitignano. La strada del G8 sta finendo di cancellare un altro tratto di quella vecchia e dismessa ferrovia.La storia della L’Aquila-Capitignano è quella di un sogno che non si è mai realizzato: quello di collegare via treno L’Aquila con Teramo.Il progetto risale al 1910. La prima guerra mondiale rallentò i lavori che furono affidati per un importo di 5 milioni dell’epoca alla Società anonima Industriale dell’Aterno (Sia). La ferrovia nel tratto fino a Capitignano, comune dell’Alta Valle dell’Aterno, doveva essere di circa 32 chilometri e prevedeva stazioni (L’A quila, Pizzoli, Marana, Montereale e Capitignano) e stazioncine intermedie (Coppito, Cansatessa, San Vittorino, Cermone, Barete, Cagnano).I binari fino a Pizzoli furono completati nel 1920. Il tratto fino a Capitignano, come è scritto in un sito internet dedicato alle ferrovie dismesse, nel 1922. A Teramo la strada ferrata non arrivò mai. Anzi, a causa dei pochi viaggiatori (sembra che per fare trenta chilometri ci volesse più di un’ora) e della scarsità delle merci veicolate, la ferrovia venne chiusa per il trasporto di persone nel 1933 e nel 1935 ci fu lo stop definitivo.Negli ultimi venti anni avrò sentito parlare decine di volte di far rinascere in qualche modo quel tratto ferroviario quasi del tutto seppellito da terra e arbusti: c’è chi ha pensato a utilizzarlo per una metropolitana leggera (quello della metropolitana è un mito che all’Aquila è morto solo con il terremoto), altri a farne la traccia per una pista ciclabile. Nel 1992 fu presentata anche una scheda Pop (piani operativi plurifondo), per realizzare un percorso per cicloamatori. Quei “ famosi” fondi Pop fecero finire in carcere una intera giunta regionale (i cui componenti furono poi tutti prosciolti o assolti).
Ma se, come mi sottolinea De Amicis, al di là di qualche bel convegno la valorizzazione dell’area fluviale dell’Aterno non è stata mai una priorità per gli amministrati di ogni colore politico, la cancellazione della L’Aquila-Capitignano è avvenuta in maniera silente ma continua. Delle stazioni ne è rimasta solo qualcuna ancora in piedi, la gran parte è stata abbattuta per far posto ad altre strutture. Quello che era rimasto era un sentiero che costeggiava il fiume Aterno.Era diventato una pista ciclabile “ufficiosa” e un luogo dove poter trascorrere qualche ora in santa pace. Ora purtroppo non è più così. Vedere quel mega cantiere dove si lavora giorno e notte per arrivare in tempo a fare tutto per i primi di luglio, fa impressione ma allo stesso tempo mi viene da pensare: ma servirà tutto questo? Quella strada, finito il G8, avrà ancora una utilità o sarebbe stato meglio lasciare quel sentiero dove si andava a raccogliere le more?Come al solito, in questi tempi di terremoto, le domande non hanno risposte precise.Il lettore che ci ha inviato l’e-mail è sicuro: è una strada inutile. Forse bisognerà riparlarne fra una decina di anni. A quel punto però sarà difficile tornare indietro. La stradina piena di buche si interrompe davanti a un grosso rullo compressore, di quelli che si utilizzano per “battere” le strade. Il ruscello viene inghiottito sotto il cemento, chissà l’acqua dove andrà a sbucare. Il fiume Aterno lo riconosci da lontano per la lunga fila di alberi sulle sponde. A fianco si potrà ancora “passeggiare”: in macchina.
di Giustino Parisse
SAN VITTORINO. Quando ero ragazzino c’era una canzone di Mino Reitano intitolata «Il tempo delle more». Era un inno alla primavera, alle passeggiate all’aria aperta, alla fuga dal caos della grande città. Ho ripensato a quella canzone quando il mio direttore, Luigi Vicinanza, mi ha segnalato una lettera arrivata con la posta elettronica. Nell’e-mail si parlava di una stradina di campagna - dove si andava in bicicletta o a cercare le more - che stava diventando una superstrada.Ieri pomeriggio sono andato a cercare quella stradina. Mi sono fatto accompagnare dall’architetto Giancarlo De Amicis. Anche lui il sei aprile ha perso la casa e ora abita a Marruci, una frazione di Pizzoli. De Amicis l’ho conosciuto alcuni anni fa perché mi venne a parlare di uno studio fatto da lui in collaborazione con la Provincia (in particolare con Francesco Fucetola) che aveva come obiettivo la valorizzazione dell’area fluviale dell’Aterno, da Montereale a Monticchio. Di quell’area conosce ogni angolo e sentiero. E ha una documentazione fotografica sterminata.Ci siamo diretti verso Preturo e il mio accompagnatore ha subito individuato una strada sterrata, via delle Vicenne. Le buche hanno fatto sobbalzare non poco la macchina. A destra e a sinistra i ruscelli di Rio Forcella incastonati fra alberi e siepi.Lungo il percorso tanti prati, qualche orto e un paio di agricoltori al lavoro.E’ bastato fare duecento metri ed ecco che sullo sfondo sono comparsi camion, ruspe, betoniere. E’ il cantiere per realizzare una strada a scorrimento veloce che dalla statale 80, proprio davanti al teatro romano di San Vittorino e a poche centinaia di metri dall’anfiteatro, porterà alla scuola della Guardia di Finanza a Coppito dove a luglio ci sarà il G8 con tutti i grandi del mondo che, fra una discussione e l’altra sulle sorti del pianeta, si muoveranno per andare a vedere i paesi del terremoto. Dopo il Papa e tutte le più alte cariche istituzionali italiane ed europee nella mia Onna arriverà anche il presidente degli Stati Uniti, Obama.
L’architetto De Amicis mi fa notare che, nascosta fra mezzi meccanici e montagne di terra e sabbia, c’è la piccola stazioncina di San Vittorino, sul percorso della L’Aquila -Capitignano. La strada del G8 sta finendo di cancellare un altro tratto di quella vecchia e dismessa ferrovia.La storia della L’Aquila-Capitignano è quella di un sogno che non si è mai realizzato: quello di collegare via treno L’Aquila con Teramo.Il progetto risale al 1910. La prima guerra mondiale rallentò i lavori che furono affidati per un importo di 5 milioni dell’epoca alla Società anonima Industriale dell’Aterno (Sia). La ferrovia nel tratto fino a Capitignano, comune dell’Alta Valle dell’Aterno, doveva essere di circa 32 chilometri e prevedeva stazioni (L’A quila, Pizzoli, Marana, Montereale e Capitignano) e stazioncine intermedie (Coppito, Cansatessa, San Vittorino, Cermone, Barete, Cagnano).I binari fino a Pizzoli furono completati nel 1920. Il tratto fino a Capitignano, come è scritto in un sito internet dedicato alle ferrovie dismesse, nel 1922. A Teramo la strada ferrata non arrivò mai. Anzi, a causa dei pochi viaggiatori (sembra che per fare trenta chilometri ci volesse più di un’ora) e della scarsità delle merci veicolate, la ferrovia venne chiusa per il trasporto di persone nel 1933 e nel 1935 ci fu lo stop definitivo.Negli ultimi venti anni avrò sentito parlare decine di volte di far rinascere in qualche modo quel tratto ferroviario quasi del tutto seppellito da terra e arbusti: c’è chi ha pensato a utilizzarlo per una metropolitana leggera (quello della metropolitana è un mito che all’Aquila è morto solo con il terremoto), altri a farne la traccia per una pista ciclabile. Nel 1992 fu presentata anche una scheda Pop (piani operativi plurifondo), per realizzare un percorso per cicloamatori. Quei “ famosi” fondi Pop fecero finire in carcere una intera giunta regionale (i cui componenti furono poi tutti prosciolti o assolti).
Ma se, come mi sottolinea De Amicis, al di là di qualche bel convegno la valorizzazione dell’area fluviale dell’Aterno non è stata mai una priorità per gli amministrati di ogni colore politico, la cancellazione della L’Aquila-Capitignano è avvenuta in maniera silente ma continua. Delle stazioni ne è rimasta solo qualcuna ancora in piedi, la gran parte è stata abbattuta per far posto ad altre strutture. Quello che era rimasto era un sentiero che costeggiava il fiume Aterno.Era diventato una pista ciclabile “ufficiosa” e un luogo dove poter trascorrere qualche ora in santa pace. Ora purtroppo non è più così. Vedere quel mega cantiere dove si lavora giorno e notte per arrivare in tempo a fare tutto per i primi di luglio, fa impressione ma allo stesso tempo mi viene da pensare: ma servirà tutto questo? Quella strada, finito il G8, avrà ancora una utilità o sarebbe stato meglio lasciare quel sentiero dove si andava a raccogliere le more?Come al solito, in questi tempi di terremoto, le domande non hanno risposte precise.Il lettore che ci ha inviato l’e-mail è sicuro: è una strada inutile. Forse bisognerà riparlarne fra una decina di anni. A quel punto però sarà difficile tornare indietro. La stradina piena di buche si interrompe davanti a un grosso rullo compressore, di quelli che si utilizzano per “battere” le strade. Il ruscello viene inghiottito sotto il cemento, chissà l’acqua dove andrà a sbucare. Il fiume Aterno lo riconosci da lontano per la lunga fila di alberi sulle sponde. A fianco si potrà ancora “passeggiare”: in macchina.
14 giu 2009
Sorbo domestico - Sorbus domestica L.
Il Sorbo domestico (Sorbus domestica L.) appartiene alla Famiglia delle Rosaceae.È una specie originaria dell'Europa Meridionale, dalla Spagna alla Crimea e all'Asia Minore, spesso coltivata per i frutti anche fuori dal proprio areale. In Italia si trova sporadico in tutta la penisola e nelle isole, nei boschi montani di latifoglie preferenzialmente su substrato calcareo. Albero alto fino a 13 metri, molto longevo; i rami sono grigio tomentosi poi glabri, con gemma quasi glabra e vischiosa. Foglie alterne imparipennate, composte, lunghe fino a 20 cm, con 6-10 paia di foglioline ovale o lanceolate sessili, dentate ai margini, acute all'apice, sopra glauche e tomentose sotto.
Fiori ermafroditi numerosi, in corimbi ramosi e tomentosi; calice a cinque lacinie triangolari acute; corolle a cinque petali (5-7 mm) bianchi rotondeggianti; stami 20; stili 5 comiati alla base. Il frutto è un pomo subgloboso o piriforme lungo da 2 a 4 centimetri, di colore giallo-rossastro e punteggiato, quindi bruno a maturità; la polpa è verdognola dolce, con endocarpo membranaceo e semi angolosi bruni.I frutti maturano in autunno e sono molto ricercati dalla fauna selvatica. I frutti sono commestibili, di sapore acidulo, ricchi di acido malico e vitamina C, se ammezziti diventano dolci, con polpa farinosa molle.
Frutti (sorbole) e foglia di Sorbo
Varietà e portinnesti
Esistono varietà che differiscono per forma e pezzatura del frutto.
Produzioni
Non edule al momento della raccolta. Commestibile solo dopo ammezzimento. Si utilizzano per fare sidro, confetture, liquori e salse.
In fitoterapia i frutti hanno proprietà astringenti, diuretiche, detergenti, rinfrescanti e tonificanti.
Dal legno giovane si estrae un liquido scuro per tingere tessuti. Il tannino estratto dalle foglie un tempo serviva per la concia delle pelli. Il legno, colorato in rosso bruno, ad alburno più chiaro, è duro ed elastico e trova impiego nella costruzione di pezzi sottoposti a forte attrito, oltre che in falegnameria per attrezzi rurali e casalinghi, lavori da tornio ed intaglio.Il Sorbo, è indicato per la coltivazione biologica e per la valorizzazione di zone marginali.
Impiegato a scopo ornamentale.
Fiori ermafroditi numerosi, in corimbi ramosi e tomentosi; calice a cinque lacinie triangolari acute; corolle a cinque petali (5-7 mm) bianchi rotondeggianti; stami 20; stili 5 comiati alla base. Il frutto è un pomo subgloboso o piriforme lungo da 2 a 4 centimetri, di colore giallo-rossastro e punteggiato, quindi bruno a maturità; la polpa è verdognola dolce, con endocarpo membranaceo e semi angolosi bruni.I frutti maturano in autunno e sono molto ricercati dalla fauna selvatica. I frutti sono commestibili, di sapore acidulo, ricchi di acido malico e vitamina C, se ammezziti diventano dolci, con polpa farinosa molle.
Frutti (sorbole) e foglia di Sorbo
Varietà e portinnesti
Esistono varietà che differiscono per forma e pezzatura del frutto.
Produzioni
Non edule al momento della raccolta. Commestibile solo dopo ammezzimento. Si utilizzano per fare sidro, confetture, liquori e salse.
In fitoterapia i frutti hanno proprietà astringenti, diuretiche, detergenti, rinfrescanti e tonificanti.
Dal legno giovane si estrae un liquido scuro per tingere tessuti. Il tannino estratto dalle foglie un tempo serviva per la concia delle pelli. Il legno, colorato in rosso bruno, ad alburno più chiaro, è duro ed elastico e trova impiego nella costruzione di pezzi sottoposti a forte attrito, oltre che in falegnameria per attrezzi rurali e casalinghi, lavori da tornio ed intaglio.Il Sorbo, è indicato per la coltivazione biologica e per la valorizzazione di zone marginali.
Impiegato a scopo ornamentale.
“Il buon contadino”
Non c’è nulla che cresca bene in un ambiente ostile ; una semplice pianta risente del clima, del terreno, delle cure del contadino ma anche di eventi incontrollabili ( gelate, inondazioni, siccità, ecc) verso i quali , a volte, si è , momentaneamente, impotenti.Davanti all’imponderabile ,che arriva, l’atteggiamento di chi ama la sua terra , non è mai di resa ; al disorientamento iniziale e alla tristezza segue la tenacia di non sottomettersi ad un “temporaneo” destino avverso.
Esistono alcune tipologie di contadini
Contadini improvvisati : complicano la propria vita ( più o meno consapevolmente) coltivando terreni improbabili quasi come se ignorassero le condizioni vitali dei loro prodotti.Chi si appresta a far crescere del grano nel deserto quanto meno si può definire “distratto”!Contadini sprovveduti : pur avendo terreni fertili, dimenticano di seminarli e /o di curarli, inveendo poi contro la natura , quando si trovano a non raccogliere nulla…….Prendersela con le piante se non crescono, se si ammalano, se non soddisfano , beh…lascia il tempo che trova!
Quel che è certo è che una pianta non si rimette in sesto per un senso di colpa ; a volte, succede che si riprenda per tenacia e cerca, in proprio, la linfa vitale.
Sono eccezioni che confermano la regola ma rappresentano la speranza che si possa sopravvivere cercando risorse alternative.
Contadini per caso: quelli che non hanno nessuna voglia di fare i contadini ma non lo dicono.Sarebbe più utile non intraprendere il mestiere ed orientarsi verso altre imprese.
Contadini “pentiti”: quelli che comprendono in ritardo di non esserci portati .In questo caso si può tentare di salvare almeno le piante già seminate e seppur con fatica, portare a termine l’impegno, evitando nuove semine.
Contadini convinti: sono quelli che ci mettono amore e dedizione ma non solo…
Sono quelli che riflettono sulle difficoltà , ( naturali in questo compito) e le superano, contenti della fatica.
Un contadino attento , pensa e cerca il modo per riparare eventuali errori, fatti per distrazione e /o per stanchezza!
Il lavoro necessario per una buona raccolta, è davvero faticoso ma lo diventa ancora di più se deve riparare ciò che non è stato fatto a tempo debito.
Si tratta, quindi di capire, se si vuol coltivare la propria terra seguendo i ritmi della natura, o se ,magicamente, ci si affida alla buona sorte.
Chi arriva a leggere queste pagine è di sicuro un buon contadino ( non certo per la scelta del sito) se non altro perché non si affida alle sue sole certezze.”
Non c’è nulla che cresca bene in un ambiente ostile ; una semplice pianta risente del clima, del terreno, delle cure del contadino ma anche di eventi incontrollabili ( gelate, inondazioni, siccità, ecc) verso i quali , a volte, si è , momentaneamente, impotenti.Davanti all’imponderabile ,che arriva, l’atteggiamento di chi ama la sua terra , non è mai di resa ; al disorientamento iniziale e alla tristezza segue la tenacia di non sottomettersi ad un “temporaneo” destino avverso.
Esistono alcune tipologie di contadini
Contadini improvvisati : complicano la propria vita ( più o meno consapevolmente) coltivando terreni improbabili quasi come se ignorassero le condizioni vitali dei loro prodotti.Chi si appresta a far crescere del grano nel deserto quanto meno si può definire “distratto”!Contadini sprovveduti : pur avendo terreni fertili, dimenticano di seminarli e /o di curarli, inveendo poi contro la natura , quando si trovano a non raccogliere nulla…….Prendersela con le piante se non crescono, se si ammalano, se non soddisfano , beh…lascia il tempo che trova!
Quel che è certo è che una pianta non si rimette in sesto per un senso di colpa ; a volte, succede che si riprenda per tenacia e cerca, in proprio, la linfa vitale.
Sono eccezioni che confermano la regola ma rappresentano la speranza che si possa sopravvivere cercando risorse alternative.
Contadini per caso: quelli che non hanno nessuna voglia di fare i contadini ma non lo dicono.Sarebbe più utile non intraprendere il mestiere ed orientarsi verso altre imprese.
Contadini “pentiti”: quelli che comprendono in ritardo di non esserci portati .In questo caso si può tentare di salvare almeno le piante già seminate e seppur con fatica, portare a termine l’impegno, evitando nuove semine.
Contadini convinti: sono quelli che ci mettono amore e dedizione ma non solo…
Sono quelli che riflettono sulle difficoltà , ( naturali in questo compito) e le superano, contenti della fatica.
Un contadino attento , pensa e cerca il modo per riparare eventuali errori, fatti per distrazione e /o per stanchezza!
Il lavoro necessario per una buona raccolta, è davvero faticoso ma lo diventa ancora di più se deve riparare ciò che non è stato fatto a tempo debito.
Si tratta, quindi di capire, se si vuol coltivare la propria terra seguendo i ritmi della natura, o se ,magicamente, ci si affida alla buona sorte.
Chi arriva a leggere queste pagine è di sicuro un buon contadino ( non certo per la scelta del sito) se non altro perché non si affida alle sue sole certezze.”
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