15 lug 2009

Dopo L’Aquila; speciale G2 di Massimo Giuliani

Dunque, ristabilito l’ordine momentaneamente turbato dalla conviviale rimpatriata dei capi di stato, abbiamo finalmente celebrato fra L’Aquila e Coppito l’atteso G2 l’incontro al vertice tra il sottoscritto e Adriano Di Barba da tempo auspicato, programmato, rinviato e finalmente avvenuto domenica 12 luglio.


Consiglio a tutti di farsi un giro per le zone disastrate accompagnati da un esperto che sa cosa guardare (Adriano è un ingegnere e per di più ha una lunga esperienza tra il Friuli e la Basilicata).
Da domenica ne so di più su cose come i “giunti sismici” (così come nei giorni precedenti, osservando a fianco di un’altra guida alcuni crolli nei paesi, mi ero fatto una cultura sulla differenza tra la pietra alluvionale e la pietra squadrata).


Come ogni summit, anche questo ha prodotto conclusioni e punti di partenza.
È perciò che questo post comincia come quelle barzellette in cui c’è il tizio che esordisce: “ho una notizia buona e una cattiva…”. Dal G2 di buone ne ho portate a casa un paio. Comincio da quelle.
La prima buona notizia è che c’è Internet. Adriano è nato a L’Aquila e poi partito anche lui, e la cosa a cui non si riesce a credere è che abbiamo frequentato stessi posti, stesse persone e chissà quante volte ci siamo incrociati senza saperlo: poi ci siamo incontrati due mesi fa in Internet e abbiamo cominciato a pensare delle cose insieme. Dunque domenica avevamo in programma di incontrarci per andare a incontrare gli scout che prestano servizio nella tendopoli di Coppito e per tornare a dare un’occhiata a quel poco che è dato di visitare a L’Aquila.
Peraltro sabato mattina mi spostavo attraverso la Valle dell’Aterno, quasi isolato col cellulare e senza connessione Internet, ed ho ricevuto miracolosamente un messaggio di Maddalena Mapelli, che mi avvisava che il nostro OUT Facebook sul terremoto, dopo essere stato rilanciato da vari blog e persino dal TG di Rainews 24, era citato anche su L’Unità nella rubrica di Marco Rovelli.
Ecco, la buona notizia è che sin dalla notte del 6 aprile la Rete è stata un piccolo grande aiuto e che oggi permette di tenersi in contatto, ritrovarsi e anche far penetrare informazioni e punti di vista differenti.
Dunque sono arrivato a L’Aquila domenica mattina, e Adriano esisteva in carne ed ossa!

La seconda buona notizia è che ci sono i boy scout. Sul serio. Li ho incontrati nella tendopoli di Coppito (aveva tenuto i contatti Adriano), scout del CNGEI di parecchie città d’Italia. Sono gli stessi che tempo prima hanno contribuito in modo insostituibile a salvare il patrimonio della Biblioteca della Facoltà di Lettere, a Palazzo Camponeschi.
Comunicano col mondo esterno attraverso un sito e una pagina Facebook, anche se nei giorni del G8 le connessioni wireless sono state oscurate.

Fabio Andreassi, Capo GruppoScout, è stato il nostro “Virgilio” a Coppito.

Fanno un gran lavoro e combattono con i limiti imposti dal turn over (si tratta di volontari che hanno altrove scuola, università, lavoro, famiglia), ma il campo non può fare a meno di loro. Alcuni di loro passeranno a Coppito gran parte dell’estate. Abbiamo preso i loro recapiti e promesso che resteremo in contatto. Abbiamo anche provato a renderci utili dando loro qualche dritta su come rendere più efficaci gli strumenti di Internet (Adriano l’ha fatto con l’autorevolezza del vecchio capo scout).
Le necessità quotidiane di un campo sono spesso molto più terra terra di quanto si pensi. Ad esempio, a Coppito c’era bisogno di accappatoi e di tanta naftalina, per conservare gli indumenti quando cambia il clima. Dal cellulare ho digitato sulla mia bacheca Facebook “c’è bisogno di accappatoi”. In dieci minuti arriva una risposta: forse un po’ ne abbiamo! Il giorno dopo mi ha chiamato un amico con un’informazione su come trovare quelli che mancano.
Nelle scorse ore tutto è arrivato a Coppito. Sì, meno male che c’è Internet.

Non tutto è stato lieto nella nostra visita: alle 10,40 è arrivata l’ennesima scossa del quarto grado Richter, dopo una notte per niente serena. Sui volti delle persone, la stessa paura che si rinnova continuamente da oltre tre mesi.
Lo abbiamo capito anche dalla signora che ci è corsa incontro per raccontarci che stava lavorando alla sua macchina da cucire (avete presente quelle macchine di una volta, tutte in metallo col mobiletto pesante di legno?) quando la macchina le si è mossa sotto le mani è si è spostata. E poi per parlarci della notte maledetta, quando dormiva nell’auto dalla scossa delle undici e mezza e la sua vettura ha cominciato a saltare su e giù. E si è salvata dal crollo della sua vecchia casa. Lo stesso angosciato bisogno di raccontare, come se il tempo in questi mesi non fosse mai passato.
E qui arriva la notizia cattiva…
…Perché la cattiva notizia è che il tempo passa.
Dev’esserci una ragione sacrosanta, che ha a che fare con una specie di meccanismo protettivo, per cui le persone, quando si sentono fortemente interpellate da una tragedia, dopo un certo periodo hanno bisogno di metterla in prospettiva, di ridurne l’impatto, di scrollarsela di dosso.
Probabilmente non esiste un solo piccolo o grande dramma umano di cui non si sia detto prima o poi: “ma in fondo non è andata così”; o “dai, non è poi così grave”, oppure “beh, tutto è bene quel che finisce bene, no?”.
È probabile che anche il grande frastuono mediatico sul G8 abbia contribuito a questo: in fondo cosa fare di più, dopo che addirittura i potenti del mondo si sono spostati per andare a vedere da vicino le macerie?
Anche la TV partecipa a questo sospiro di sollievo collettivo: la Carlucci che dalla Piazza Duomo, accanto a Baglioni, cinguetta qualcosa su “le gru di tutti i cantieri della ricostruzione che sono aperti”, rasserena tutti quelli che si sono commossi e hanno trepidato.
Ma le gru che sovrastano la piazza non hanno a che fare con la ricostruzione, bensì con la messa in sicurezza di tamburo e cupola della chiesa delle Anime Sante e di quel che resta della Cattedrale.
Roba che in un terremoto è ordinaria amministrazione dal giorno dopo.
Niente ricostruzione. Né in Piazza Duomo, né altrove. Però, se fate due chiacchiere al supermercato o in ufficio in qualunque altra città d’Italia, qua e là troverete chi commenterà che in fondo il peggio è passato, e le case le stanno ricostruendo, e d’altra parte non sarà mica il primo terremoto in Italia, e poi pensa anche a Viareggio, anche lì ce la stanno facendo, no? E che se qualcuno lì ha ancora da protestare, non vede nemmeno che in nessun luogo prima d’ora hanno fatto tanto come per loro!
L’impressione è che l’ondata di solidarietà e sgomento stia passando.
I media riferiscono con sufficienza le proteste e le manifestazioni degli aquilani, che appaiono dai telegiornali una manica di esigenti rompiscatole. D’altra parte, non gli stanno ricostruendo le case provvisorie? Cos’avranno ancora da lamentarsi?

Ho dato un’occhiata al cantiere di Bazzano, in cui stanno realizzando un certo numero di residenze provvisorie. È un intervento colossale, che cambia per sempre (per sempre!) la faccia del territorio e la carta geografica. E che fa venire da domandarsi se una volta che i terremotati saranno accasati lì, qualcuno vorrà ancora mettere mano ai centri abitati distrutti.
Questi complessi spesso contengono molta più gente che i residenti dei paesi in cui sorgeranno. Questo comporterà che molta gente sarà trasferita d’autorità lontano dal proprio paese, dagli animali, dai campi, dal lavoro.
Fra gli abitanti di questi paesi si sente la preoccupazione per gli “altri”, che arriveranno nelle loro case e che sono diversi da loro. Quelli che magari abitavano dieci chilometri più in là. Così, mentre l’attenzione scema ed aumenta il fastidio per questi terremotati che vogliono la luna, insieme al paesaggio e al territorio saranno ridisegnate, a tavolino e per decreto, intere comunità.

“Che succede dopo il G8″: un servizio che durante il G2 ho visto in TV su Rainews 24, che continua ad essere l’unica emittente che dedica un’attenzione profonda e critica al post-terremoto.

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