10 lug 2009

Setcreasea - Setcreasea spp.

Nome comune: Setcreasea purpurea
Genere: Setcreasea. Famiglia: Commelinaceae.
Etimologia: il botanico K. M. Schumann nel XIX secolo, che ha dato il nome al genere, non ha mai dato una spiegazione inerente la sua scelta.
Provenienza: America Centrale.

Setcreasea purpurea: originaria del Messico, questa specie erbacea e perenne presenta fusti piuttosto succulenti con portamento dapprima eretto, quindi strisciante, radicanti ai nodi e di colore violaceo.
Le foglie, lunghe fino a 10 cm., leggermente carnose, guainanti e disposte a spirale intorno al fusto, presentano la lamina lanceolata di colore viola intenso, che tende a diventare verde scuro in luoghi scarsamente illuminati. Foglie e fusti sono ricoperti di una sottile peluria bianca, presente in modo particolare ai nodi e sui margini fogliari.
I fiori compaiono, all'apice dei rami, tra due brattee acuminate, opposte ed embricate. Essi presentano tre piccoli sepali e tre petali lilla-rosa. Al termine della fioritura, compaiono nuovi germogli al di sotto delle brattee.
Esigenze ambientali, substrato, concimazioni ed accorgimenti particolari.

Temperatura: non tollerano il gelo, ma, se anche la parte aerea dovesse morire per il freddo, le piante, potate drasticamente, emetteranno nuovi getti in primavera.
Luce: molto forte (un'esposizione scarsamente luminosa determinerà il cambiamento di colore delle foglie, che passerà da viola scuro a verde).
Sopportano anche il sole pieno, ad esclusione delle ore e dei mesi più caldi. In estate comunque staranno meglio in posizioni luminose, ma parzialmente ombreggiate.
Annaffiature e umidità ambientale: annaffiare abbondantemente in estate; ridurre notevolmente le somministrazioni in inverno, che corrisponde al loro periodo di riposo vegetativo. Fare attenzione ai ristagni di acqua.
Substrato: composta a base di terra di foglie, torba e sabbia.
Moltiplicazione: si possono moltiplicare facilmente e anche più volte l'anno mettendo a radicare talee di fusto nello stesso terriccio usato per le piante adulte, con l'unica accortezza di non annaffiare troppo nei primi giorni, per evitare che il fusto carnoso possa marcire.
Potatura: esemplari dall'aspetto poco gradevole, cresciuti in modo disordinato, potranno essere sottoposti a potatura radicale della parte aerea (approfittando per ottenere talee). A primavera, la pianta emetterà nuovi germogli.
Malattie, parassiti e avversità: Piante che diventano esili e verdi: eccesso di calore e carenza di illuminazione, specie nel periodo invernale.

Sassos Blog - Come eravamo...novembre 2008

Erano i primi tentativi di Sassos Blog.
Materiale un po' datato.
Ma necessario per mantenere la memoria storica.....

il sorbo

l'ulivo

il panorama

L'Aquila nuova - Fotoblog

http://www.laquilanuova.org/

9 lug 2009

sicurezza G8 o guerra preventiva?

http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=2520

Ju terramutu di Fulvio Giuliani

http://www.ansa.it/documents/1245869130523_Fulvio_Giuliani%20(in%20dialetto%20aquilano).pdf

Tre mesi dal Terremoto dell’Aquila.

Nei primi giorni dopo il 6 Aprile, quanti mi telefonavano, dall’Italia e dall’estero, esordivano angosciati e chiudevano rallegrati. Successivamente, la sequenza delle tonalità delle conversazioni s’è rovesciata. Nei primi giorni, angosciati dall’eventualità di incontrare brutte notizie o addirittura il silenzio imposto dalla morte, finivano col rallegrarsi che io e i miei cari almeno la vita e l’integrità corporale le avessimo salve. Da un certo momento in avanti, hanno preso a telefonare per rallegrarsi di tutte le magnifiche notizie circolanti nel vasto mondo: l’emergenza è finita, la maggior parte delle case è abitabile, un fiume di denaro scorre nelle tasche degli aquilani, il centro storico è stato riaperto, la costruzione delle case per i senzatetto è cominciata, il G8 schiude nuovi orizzonti di gloria e prosperità radunando all’Aquila i capi dei Paesi più ricchi del mondo, etc. Per i miei interlocutori, i rallegramenti di queste telefonate finiscono con il naufragare nell’angoscioso dubbio del chi stia esagerando: se io, con i miei disilludenti retroscena, oppure governanti e mass-media, con i loro zuccherosi fuochi d’artificio. All’Aquila, il centro commerciale più importante è l’Aquilone. È stato il primo a riaprire, dopo il terremoto del 6 Aprile. Però, i visitatori potevano lasciare in sosta le automobili solo nei piazzali all’aperto. Il non meno vasto parcheggio sotterraneo era interdetto, per motivi di sicurezza.
Cioè, le autorità evidenziavano il rischio che, in ragione del perdurare delle scosse sismiche, si potessero determinare pericoli per le persone e le automobili.
Adesso che c’è il G8, questo rischio non c’è più. Adesso, le migliaia di aquilani che quotidianamente all’Aquilone vanno a far compere o a divagarsi “devono” parcheggiare solo e soltanto nei sotterranei, perché adesso l’interdizione riguarda i piazzali soprastanti. Sempre per motivi di sicurezza, ma questa volta perché dalle automobili parcheggiate su quei piazzali parrebbe possibile disturbare, aggredire, offendere o fare qualsiasi altra cosa contro l’area (per altro assai distante) in cui è ubicata la sede del G8.
La protettiva avvedutezza delle autorità, adesso, è evaporata sotto la calda carezza solare del G8. Eppure, nei novanta giorni trascorsi dal 6 Aprile, la terra s’è mossa sotto i piedi degli aquilani più di trentaduemila volte, delle quali sedici con magnitudo superiore al 4° grado della Scala Richter. Se è vero che 2 più 2 fa 4, adesso che c’è il G8 la quotazione della vita di quei quattro fessi di aquilani aggirantisi nei sotterranei dell’Aquilone è platealmente sprofondata nel nulla. Invece, come da annuncio di Palazzo Chigi, se sopraggiungesse un ulteriore 4° grado Richter, “tutti a casa”, il G8 finisce lì oppure nemmeno comincia.
Nella faraonica scuola della Guardia di Finanza riconvertita in sede del G8, in aggiunta ai 3.000 posti-letto lusso e super-lusso approntati per i capi di stato e di governo e i rispettivi seguiti, sono state allestite “tende presidenziali” per l’eventuale attesa tra “la” scossa allarmante e l’imbarco sugli elicotteri permanentemente pronti all’immediata “evacuazione” dei capi di stato e di governo.
Invece, gli aquilani restano dove stanno. Se arriva un altro 4° grado, o un altro 5° o un altro 6° o magari un qualcosa di ancor di più, per loro niente elicotteri e niente di niente. Loro, gli aquilani, sono “carne da macello”, mica capi di stato e di governo.
Il G8 traslocato dalla Sardegna è stato vantato come fonte di benefici stellari per gli aquilani.
Ovviamente, nessuno ci ha mai creduto e fatto affidamento, a parte quelli che amano lasciarsi raggirare da qualsiasi ciarlatano o commesso viaggiatore.
Tra l’altro, la scuola della Guardia di Finanza non appartiene allo Stato, perché il governo Berlusconi-Tremonti, nel 2004, l’ha ceduta a un pool internazionale di banche e società finanziarie. Lo Stato è solo un inquilino, che ogni anno paga un canone di 13 milioni di euro.
La spesa dello Stato per le ristrutturazioni effettuate in funzione dei 3 giorni del G8 si vocifera ascenda a 10 milioni di euro. Soldi buttati al vento, se dopo si torna all’addestramento di ispettori e sovrintendenti, oppure soldi regalati ai veri proprietari del sito, se dopo il G8 la Guardia di Finanza smobilita, come qualche maldicente va raccontando?
In meno di 4 settimane, è stata inventata e costruita una superstrada di quasi tre km, funzionale alle sole esigenze del G8 e costata quasi 4 milioni di euro.
Altrove, interventi urgenti e importantissimi, comportanti costi di quattro soldi, nemmeno vengono presi in considerazione:
la strada statale che collega le frazioni aquilane di Assergi e Camarda e quella che collega gli abitati di Calascio e Santo Stefano di Sessanio sono chiuse dal 6 Aprile, per via del terremoto che ha danneggiato poche centinaia di metri di entrambi i tracciati. A nessuno importa che quelle strade siano di vitale importanza per i residenti e essenziali per la ripresa di tutte le attività economiche, a cominciare dal turismo.
Gli aquilani sono “carne da macello”: si accontentino di villeggiare nelle tendopoli oppure negli alberghi in riva al mare e successivamente si rassegnino a sopravvivere in mezzo alle macerie e a campare di sussidi e carità. Lungo i percorsi previsti per le delegazioni del G8, si rifanno manti stradali, si tosano i prati, si infiorano le aiuole, si lustra e s’imbrillanta senza risparmio. Nella scuola della Guardia di Finanza, scialano alla grande gli scenografi e i designers della squadra governativa già virtuosamente sperimentata in quei santuari del pessimo gusto che sono la sala-stampa di Palazzo Chigi e, a suo tempo, l’aula del vertice Nato di Pratica di Mare. A edificazione dei Grandi della Terra, c’è pure una mostra di rarità artistico-culturali, assemblata con i criteri d’una bottega di rigattiere analfabeta e comprendente anche quello straordinario unicum che è il delicatissimo “Guerriero di Capestrano” del VI sec. a. C., strappato dall’Archeologico Nazionale di Chieti nonostante il fermissimo parere contrario dei tecnici dello Stato.
Nel cuore della città morta, invece, messi in bella vista a favore di telecamere un po’ di rabberciamenti di chiese e palazzi, non si sgombrano le strade allagate di macerie, non si recuperano e non si catalogano le decorazioni lapidee crollate, non si mettono in sicurezza le migliaia di edifici storici danneggiati, non si lavora al salvataggio di biblioteche, archivi e collezioni, non si prepara il futuro recupero strutturale e funzionale della città nel suo insieme.
Insomma, con il G8 nemmeno un centesimo arriva a beneficio dei cittadini e dell’economia locale. Se mai, arrivano restrizioni e disagi d’ogni genere, per quanto riguarda la vita quotidiana, nonché insulti d’ogni genere al buon senso e alle innumerevoli esigenze strutturali di una terra e una comunità martoriate da una tragedia che non ha pari nella storia delle città d’arte europee. Battute stralciate da un’intervista che il capo del governo ha rilasciato il 24 Giugno: «Rifaremo l’Aquila e gli altri 49 comuni. Stiamo costruendo a tempo di record appartamenti completamente ammobiliati per 15 mila persone che hanno avuto la casa distrutta. Sono io praticamente il direttore dei lavori. Domani distribuirò migliaia di computer: L’Aquila potrà aumentare di 15 mila unità gli studenti. Nessuna università al mondo potrà offrire dei campus come quelli che stiamo costruendo. Quando vado all’Aquila è per cercare di alleviare le pene di chi è nelle tendopoli. Rifaremo L’Aquila e gli altri comuni com’erano e anche più belli». A oggi, 23.000 persone vivono nelle tendopoli, 21.000 negli alberghi sulla costa e 10.000 in sistemazioni autonomamente reperite. Nei 20 quartieri-dormitorio, di cui è stata parzialmente avviata l’edificazione nelle campagne circostanti, dovrebbero trovare sistemazione, “prima dell’inverno”, 15.000 persone.
Che fine faranno le rimanenti 39.000, tenendo conto che le ottimistiche stime ufficiali classificano inagibile il 40% degli edifici delle periferie e si guardano bene dal rivelare la terrificante percentuale delle inagibilità nel centro storico? Anche questa è “carne da macello”, ovviamente. Per loro, il capitano della nave griderà (sta già gridando) “si salvi chi può”. Il che vuol dire, in buona sostanza: mettere mano al portafoglio (chi ce l’ha ben fornito), oppure emigrare, oppure affogare. Intanto, è il Far West: i prezzi dei terreni disponibili, in affitto o in vendita, crescono con rapidità esponenziale; il territorio s’imbarbarisce sotto la grandine delle casette di legno o di ferro che nessuna previdente regolamentazione incanala nell’alveo dell’armonia tra interesse pubblico e interessi privati; la grande speculazione edilizia e fondiaria sta già alacremente lucidando i suoi artigli; chi riusciva a malapena a cavarsela, dopo il terremoto incontrerà difficoltà enormemente più gravi; chi era ricco, farà soldi a palate; lo Stato finge di esserci e dopo la vetrina del G8 nemmeno farà più finta. Se le cose restano come appaiono adesso (e non c’è appiglio per immaginare mutamenti), andrà a finire ancora una volta come racconta Ignazio Silone a proposito del terremoto di Avezzano del 1915: «Nel terremoto morivano ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d’ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della convinzione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopo-guerra». (Nota biografica a cura di Goffredo Palmerini)
(*) Errico Centofanti, giornalista e scrittore, è stato uno dei fondatori del Teatro Stabile dell’Aquila

7 lug 2009

L’esodo aquilano e le casette antisimiche piovute dal cielo di Antonio Gasbarrini

Chissà se durante il G8 a Coppito, sarà donata al Capo del Governo italiano la Cronica rimata [della città dell’Aquila, dalla sua fondazione del 1254 al 1362]) di Buccio di Ranallo, nato nella città federiciana sul finire del Duecento da genitori provenienti proprio da Poppetlum.
L’auspicata lettura gli consentirebbe di conoscere ex post tutta la fierezza del popolo aquilano che nonostante fosse stato più volte sterminato da carestie, pesti, terremoti e guerre fratricide – descritte con viva partecipazione dall’epico cantore – aveva sempre saputo rialzare la testa per guardare nuovamente in avanti. Buccio è stato, tra l’altro, testimone oculare del terremoto che nel 1349 distrusse la città e fece contare 800 morti: “Corria li annjs Dominj annj mille trecento / e più quaranta nove, credete ca no mento, / quanno fo lu terramuto / e questo desertamento; / e quillj che moreroci, Dio li abia a salvamento”. La sua descrizione del “desertamento” della città, evoca in modo impressionante tutto il pathos che sei secoli e mezzo dopo sarebbe scaturito dalla tragedia del 6 aprile: “Quanno le case cadero / fo tanta polverina, / no vidia l’uno l’altro quella matina; / multi ne abe a ucidere senza male de ruina: / ben se llj de’ conuscere la potenzia divina”.Castigo divino per antonomasia, il terremoto di quel 1349 durò poco più di 9 settimane (mentre ben 12 ne sono già trascorse dalle 3 e 32 di quella stramaledettissima notte) e fu affrontato con l’intelligenza dovuta: “No iacevamo in case ma le logie facemmo, / più de nove semmane pur da fore iacemmo; / più friddu assai che caldo / in quillo tempo avemmo / e de nostri peccatj pochi ne penetemmo”.

Di peccati da scontare, per i circa 35.000 aquilani “ricoverati” nei momenti di punta dell’esodo nelle tendopoli e per gli altrettanti ospitati negli alberghi della costa, ne devono essere ancora molti, se a tre mesi da quel feroce inizio le scosse continuano a superare i limiti di guardia della scala Richter (intorno ai 4 gradi, mentre stiamo scrivendo). I clamorosi ritardi nel puntellamento delle migliaia di edifici seriamente compromessi, hanno aggravato, e di molto, la precaria situazione di “tenuta urbana” dell’intera città, che rischierà di diventare esplosiva con i primi freddi delle gelide ottobrate aquilane.
Sempre per il Capo del Governo non sarebbe inutile la lettura di un altro cronista aquilano, Francesco d’Angeluccio di Bazzano, il quale nelle Cronache delle cose dell’Aquila descrive con vivido realismo le varie scosse dell’altro terremoto abbattutosi sulla città poco più di un secolo dopo, mettendo però in evidenza lo strettissimo rapporto di causa ed effetto tra la distruzione parziale delle abitazioni nelle prime scosse e quella definitiva: “E a di 17 de Dicembre 1461, a ore 8 de nocte, revenne uno terramuto bono granne che tutcte le persone, ch’erano rannate a casa retornarono a fare le logie (baracche, n.d.a), come aviano facte da prima. E cascarono paricchie case da quelle ch’erano contaminate (lesionate, n.d.a) dallu primu terramuto e lle persone tutte stanno con gran paura”.Il terremoto, iniziato il 27 novembre terminerà ai primi di gennaio, dopo di che “tucti li omini sono retornati ad avetare (abitare, n.d.a) in le loro case”.

Mentre gli aquilani dei tempi di Buccio di Ranallo e di Francesco d’Angeluccio di Bazzano, poterono rientrare in una città che sarà ricostruita più bella e più ampia di prima (città poi nuovamente distrutta nel terremoto del 1703, ma ostinatamente riedificata), gli attuali discendenti dimoranti nelle tendopoli e negli alberghi, conoscono una sola parte del loro ingrato destino: in circa 13.000 saranno “dispersi”, entro la fine dell’anno, nella ventina (?) di insediamenti delle casette antisismiche posizionate circolarmente rispetto al capoluogo, con distanze diametrali di circa 40 chilometri; un altro buon numero (ad esser ottimisti, facciamo 20.000?) dovrebbe rientrare prevalentemente nella parte periferica della città nelle case dichiarate agibili o tali con piccoli lavori di reintegro (classe A, B, C).
Al nostro appello mancano circa 37.000 persone (i cui nuclei familiari abitavano in costruzioni classificate D, bisognose cioè di consistenti interventi di ristrutturazione, ed E, da demolire): che fine faranno?
Tra quanti anni potranno rientrare nelle loro abitazioni? E, se la pessima legge appena approvata non sarà integrata con una successiva che preveda il rimborso dei costi sostenuti per la ristrutturazione o ricostruzione anche per le seconde case al 100 % (vale a dire circa il 30-40 % degli edifici del centro storico), non è prevedibile il loro definitivo abbandono data l’insostenibilità delle spese da affrontare per le migliaia e migliaia di cittadini che hanno perso pure il lavoro o sono sotto cassa integrazione guadagni?
Quanti Istituti finanziari (o peggio, clan mafiosi), stanno dietro l’angolo in attesa di accaparrarsi in tutto o in parte, ed a prezzi stracciati, questo o quell’edificio del centro storico?
Se questi sono, come sono, gli irrisolti problemi reali che saranno presto sbattuti in faccia a tutti i propagandisti dell’ottimismo di maniera (Capo del Governo e Capo della Protezione Civile, in particolare), cosa sta nel frattempo succedendo all’intera conca aquilana ed al suo impareggiabile paesaggio naturale ed urbanistico, ora costeggiato da macerie su macerie, con l’affrettata e frettolosa scelta verticistica di queste casette antisismiche in cemento (vita media prevista, circa cinquant’anni) subentrate, da un giorno all’altro, all’ipotesi iniziale di “meno invasive” casette lignee?
La descrizione dell’altro terribile terremoto del 1703 (con migliaia di morti), da parte dello storico Antinori, ci aiuta a capire – in uno dei passi salienti – come fu impossibile, all’epoca, ricostruire fedelmente la città distrutta, riedificata prevalentemente con le macerie, e perciò meno bella e grande: “Dopo questo orrido disastro, la città nuovamente ricostruita non poté rappresentare più l’antica. La fisionomia dell’Aquila fu cambiata, le sue alte torri o scomparse o ricostruite più basse, i suoi grandi palazzi o scomparsi anch’essi o riedificati più piccoli e con moderna architettura. Questa città bisogna immaginarsela ricostruendola con la fantasia coi pochi avanzi di quella distrutta”.
In effetti confrontando visivamente questa descrizione della città ricostruita ex novo nei primi del Settecento (vale a dire L’Aquila che avevamo conosciuta, ammirata ed amata fino al 5 aprile) con la città analiticamente dipinta con tutte le sue chiese, piazze, fontane, palazzi, mura di cinta e porte da Paolo Cardone nel Gonfalone (1572) fortunosamente e fortunatamente recuperato dalle recenti macerie del Castello Cinquecentesco, si può percepire abbastanza bene “la riduzione di scala” urbana subita.
Riduzione implicita nella confusa, caotica frantumazione paesagistico-architettonica in atto, che mentre svuota scientemente per vari anni la città capoluogo di circa il 20% dei suoi abitanti, non ha ancora messo in sicurezza con gli indispensabili puntellamenti migliaia e migliaia di palazzi, palazzetti e case di civile abitazione in via di disgregazione definitiva da parte di un sisma che non conosce la parola fine.
E dire che gli statuti medioevali della città vietavano con molta lungimiranza la costruzione di case fuori le mura, come ricorda puntualmente l’architetto matematico Pico-Fonticulano nella sua cinquecentina Descittione di sette città illustri d’Italia:“Non ha palazzi attorno, perciò che per un statuto fatto a tempo delle discordie e nemicitie civili, si vieta agli aquilani il quivi habitar con le famiglie”. Invece ora, per una perversa, vendicatrice Nemesi, il nucleo più consistente (e perciò la maggior quantità di colate di cemento) di queste casette antisismiche costruite tutte extra moenia, sta spuntando alla stregua di funghi apparentemente mangiabili per i senzatetto terremotati, funghi di fatto avvelenanti il futuro delle giovani generazioni, proprio a Bazzano, la terra del nostro cronista Francesco D’Angeluccio.
Chi, come e perché ha deciso, in spregio a qualsiasi forma di partecipazione democratica nella gestione del territorio (cittadini ed enti locali) : “queste casette qui, quelle altre là, anzi no, queste sono state “asinisticamente” posizionate sulla faglia, quindi è meglio spostarle più in là”? “Forse è meglio rinunciare ad edificare alcune centinaia di moduli abitativi; un paio di migliaia di terremotati li sistemeremo nella cittadella della Guardia di Finanza: quale onore per anonimi ospiti delle tendopoli, alloggiare nelle stesse stanze utilizzate per il G8, dove hanno dormito Capi di Governo, first ladies, guardie del corpo, qualificate delegazioni di Stati esteri e la crema della crema dei giornalisti di mezzo mondo!”. Si chiedeva Ignazio Silone, per di più in tedesco mentre era esiliato in Svizzera dove avrebbe pubblicato Der Faschismus nei primi anni Trenta: “Il fascismo è piovuto dal cielo?”. La stessa domanda retorica si potrebbe porre al Capo del Governo italiano: “Le casette antisismiche disseminate a casaccio al di fuori della cinta muraria della città e delle sua più immediata periferia, sono forse venute dal cielo?”. Di casette piovute dal cielo si conosce un solo esempio: la Santa Casa di Nazaret a Loreto, nelle Marche, meglio conosciuta come “casa della Madonna”, trasportata (secondo la tradizione popolare) in volo dagli angeli. Quelle pietre, è bene svelarlo subito, provenivano proprio da Nazaret. Ma c’è un particolare: erano state trafugate via mare, sul finire del Duecento, dai crociati. Per i credenti ed i fedeli, i miracoli non possono essere messi in dubbio. Per i 10-13.000 aquilani che si troveranno di fronte al ricatto “o prendere la casetta o in mezzo alla strada”, riflettere sul futuro immediato (che non c’è) della loro fantasmatica città, non è un semplice dubbio amletico, ma un preciso dovere civico. Dulcis in fundo: per gli altri 57.000 aquilani scomparsi dai mass-media e dalle ingannatrice versione miracolistica di un dopo-terremoto tutto rose e fiori, le mancanti casette che dovrebbero piovere ancora dal cielo, dove atterreranno? Si risponde con sicumera: per una buona parte non serviranno proprio (grazie al veloce recupero delle case dichiarate agibili o quasi). E per le decine di migliaia di aquilani senza più casa, né arte né parte, dimoranti per lo più negli alberghi, quale prospettiva esistenziale resta aperta? La nostra cruda e crudele risposta è, al momento, quella della praticabilità di una sola Uscita di Sicurezza (per dirla sempre con Silone): la migrazione stanziale in altri lidi meno opprimenti dell’attuale non-Aquila militarizzata. Ma, come dire “ciao” e non “addio” a L’Aquila bella mé? In un sol modo: prendendo, come cittadini, “proprietari condominiali” della loro struggente città, la giusta Distanza di sicurezza (è il titolo di un bel libro del filosofo Slavoj Žižek) dalle pinocchiesche manipolazioni mass-mediatiche in atto. Perciò, la smetta il Governo, una volta per tutte, di prendere in giro gli aquilani con il gratta e vinci o con il G8, e con parole chiare dirette a tutti i contribuenti, istituisca una imposta di solidarietà nazionale restituibile (se necessario) con le entrate aggiuntive scaturite da una pervicace lotta all’evasione fiscale. Se così sarà, la rinascita di una delle più belle città d’Europa – Sua Maestà il Terremoto permettendo – è più che garantita.* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana

6 lug 2009

Quacchidunu mo'

..... cumincerà a penza' che sotto ju piru cumincia a stacci la mania de persecuzzio' ma mesà nun é cuscì. E nun é nemmenu che ci ha scococciatu ju sole. Semo fattu la proa e ancora nun dicemu "come sole stu coce". Jatru jornu infatti stavammo a penzà come funziona ju turismu aji atri posti o nazziò'. Se semo accurti addirittura che resceno a fà turismu pure co le targhe deju tipu "prima ecco ci stea la casa di xx dimulita tantu tempu fa". Cioè attireno ji turisti praticamente co na' targa. L'Aquila, sesta città italiana per beni nun é mai riscita a creà nu flussu turisticu. Recurdocelu questu: sesta... già lo semu ittu n'atra ote ma lo ricemu: provete ancora a immaginà chi po sta prima e soprattuttu doppu. Perchè quiji doppu tenenu pure chiu turismu de nu, ma menu munumenti. Ma tornemu aju G8. Mo, se pe' nu mumentu lassemo da parte quello che uno penza deju G8. Lassemu perde ji casini che ce stanno a L'Aquila sti jorni. Lassemo da parte se porterà un pò de benefici o menu. Ma penzemu: vistu che era statu tuttu decisu cerchemo arminu da avè quarche beneficiu oltre ji casini. A L'Aquila ju G8 se amplia aju G14. E' su stu ampliamentu chè ce poteamo attaccà. E nun lu semu fattu come sempre... Forze semo troppu occupati a nun fa nienti. Ju ampliamentu da G8 a G14 nun se potea collegà stu fattu co' la perdonanza e ji concetti che ci stannu scritti sopra la bolla pè fasse nu pocu de pubblicità? Ji atri pubblicizzanu le targhe "ecco ci stea na ote la casa de XXX" e nu non rescemo a fà cunusce le ricchezze vere nostre. Sottu ju piru nun é arriatu nienti. Se quacchidunu ce pò smintì semo tutti contenti!!!! Nu infatti tenemu un quarcosa daju 1294, é nu quarcosa che se chiama "Bolla del perdono". Stà bolla ata da Celestino V stabilea ju giubileu pe' L'aquila (che ci sta ancora tutti ji anni) ma anche n'atra cosa essa parlea pè la prima ote deji concetti de pace solidarietà e riconciliazione. Mo', pure se quarchidunu dirà che é nu sardu pindaricu, nun se poteanu sfruttà sti concetti e ncumincià a fa sapè aju munnu della esistenza della perdonanza e della manifestazzio? A oggi la perdonanza nun la cunuscenu nemmenu ji aquilani penza un pò fore!!! Invece forze veramente L'Aquila, come se ipotizza, tenea pijà ju postu de Gerusalemme. Ji stessi concetti addirittura ji ripijie ju poeta e matematico giapponese Kikuo Takano che ha scrittu de L'Aquila: "L'Aquila: è qui la roccaforte della sapienza. E vieni a visitarla. Comprendi cosa ha dimenticato l'uomo comprendi quanta ragione ha perduto il mondo. Se vieni a visitarla, comprendi che questa è la patria di gente forte e gentile, nobile d'anima, e proprio qui, in questo luogo alita un supremo spirito divino." Senza lauro la città more. Tenemo relancià quistu, e tenemo du sole strae vere: l'università e ju turismu. E' ora che ji aquilani le 'ncomincianu a defenne tutte e du. Tingu pretenne che ji enti proposti comincianu a laorà seriamente. che se vedanu ji risurdati. Pè Ju castellu se stimenu 50 milioni de danni e 8 anni de lauro. E che ci vunnu fà remani senza museu pè 8 anni? Quale é la soluzzio che se stà a penzà pè sti 8 annni? E ju turismu? E pè tuttu stu tempo le nostre opere a dò starannu? Daju piru volemo ju elenco aggiornatu, opera pè opera, de quello portatu via non solu daju Castellu ma anche dalla chiu piccola chiesetta o casa storica!!. A do' stannu e pò pè ju futuru come sta ju restauru e quannu costa. E soprattuttu la data prevista de rientru e a dò!!!!! E' robba nostra!!! Se lo mettemu in evidenza come nun semo mai fattu é ju futuru nostru !!!! Ma sti elenchi ji volemo pure pè ju archiviu de statu co' ju documenti deju 1200, pè la bibblioteca pruvinciale co' ju documenti del 1400' e cusci via pè tutte le ricchezze nostre esiliate e non. Guardete ji atri se resenteno pure de prestacci la robba nostra!!!!! L'Italia se stà a fà rea le opere daji atri stati. E' ora che L'Aquila se ripija lo se. Vistu che semu la sesta città italiana pè beni. Vistu che a dò scai trui reperti romani, vestini longobardi e ora che le sedi de governu deji beni artistici tingu stà a L'Aquila. E' ora de defenne la robba nostra. La ricustruzzio se pò fa se ce stanno posti de lauro. E ju turismu é lauro. Intere città vivenu solu de questu. Ce chiedemo: Perchè nun se crea na scola e ji labboratori de restauru a L'Aquila? Putirrianu esse atri posti de lauro. Pò co l'esperienza che se farannu sti quatrani se putirria creà nu centru de 'mportanza non solu nazzionale ma pure de fore. Sarria bellu che quacchidunu che laora per ji beni artistici ci responna. E subbitu doppu metta su nu beju situ co' sti elenchi e che ji tenessiru aggiornati arminu a livellu mensile? troppu? facemo allora arminu semestrale? Che quacchidunu ce responna sopra aju futuru deji beni nostri. Daji 3 miliardi de danni sopra alle costruzziò artistiche e la diponibilità de 69 milioni é cajiatu quarche cosa? Aju G8 se presenterannu co' 44 munumenti, come se questa fosse L'Aquila!! Nu volemu sapè che ne sarà dell'atra mijiaia de monumenti. Sete lettu bene, e nu nun se semo sbajiati a scrie ju numeru deji monumenti nostri so' co' tre zeri, perciò eravamo sesti in Italia. Forse co' sti nummeri se capisce nu pocu di chiu che eravamo e che che tenemo da defenne. Quacchidunu doppu ju G8 dirà a tuttu ju munnu che co' ji 44 monumenti maggiori L'Aquila stà a postu, stemo attenti perchè mesa' se scorderà ju atru mijiaiu!!! Comunque de domande pè oji ce ne stanno abbastanza. Mo aspettemo quarche risposta da sti enti!!! Se nun arriano é da preoccupasse e penzà: servirannu le casette senza lauru? da LupoBianco

Idee per L'Aquila

http://www.ideasforlaquila.org/page.php?page_id=9

Il terremoto che ha colpito L'Aquila il 6 Aprile, ha distrutto non solo la vita di molti e le case dei più, ma anche la vita culturale, scientifica, sociale e produttiva della città. L'Aquila era famosa per i suoi edifici storici, le chiese, e le montagne circostanti, per il suo patrimonio artistico e la sua università. Nel processo di ricostruzione della città del nostro futuro e della sua università, chiediamo quindi un contributo di idee, proposte e progetti.
La visione che abbiamo in mente è quella di realizzare la città che sarà a partire dalla città che è stata. Invitiamo dunque ricercatori e studenti a considerare L'Aquila come una città medievale in un Paese moderno, come un laboratorio aperto, un ideale teatro di applicazione e un "dimostratore" dove le nuove tecnologie e gli studi storici possano essere sviluppati fianco a fianco; dove forme di rinnovamento culturale e di analisi sociale possano essere integrati con l'innovazione della tecnica, innovazione che può esprimersi dalle soluzioni architettoniche alla pianificazione dei trasporti, dall'intelligenza ambientale all'efficienza energetica.
Allegata a queste breve introduzione troverete una lista non esaustiva di temi specifici nei vari settori che possono essere di interesse per chiunque intenda contribuire al progetto complessivo. Vi preghiamo quindi di considerarlo come un elenco aperto
Sostenibilità ed efficienza energetica
Trasporti integrati a basso costo
Tecnologia delle costruzioni e sviluppo di nuovi materiali
Progettazione architettonica di un medievale città di alta tecnologia
Ricostituzione di reti sociali e culturali
ICT: intelligenza ambientale e città dei servizi
Belle arti e tecnologia
Effetti materiali e culturali delle catastrofi naturali
Collocazione del panorama storico della città in una regione parco
Disseminazione e promozione delle "best practices" in spazi post-emergenza
Ontologia ed epistemologia del rischio
L'identità personale: memoria affettiva e oggetti
Ricostruzione di un istituzione culturale: il futuro delle università
Teoria e storia della letteratura
Modellazione matematica in Ingegneria, nanoscienze e scienze della vita
Relazioni tra strutture sismogenetiche profonde e caratteristiche morfologiche superficiali
Variazioni di acque carsiche rete idrografica come conseguenza di eventi sismici
Effetti dei fenomeni sismici sulla struttura degli ecosistemi acquatici e terrestri
Monitoraggio delle modificazioni degli ecosistemi in acque sotterranee e di superficie: un approccio integrato
Psicologia del rischio e dell'emergenza

Massimo Giuliani

http://www.ibridamenti.com/dalla-rete/2009/07/di-status-in-status-il-terremoto-versione-facebook-

Intervento su RAINEWS24: terremoto, internet, informazione

5 lug 2009

il guerriero


altra italia - Tremori ABRUZZESI

di Luigi Gaffuri professore di Geografia del potere presso la Facoltà di lettere e Filosofia a L'Aquila

20 mila scosse in due mesi hanno reso gli aquilani esperti in terremoti, trasformato l'immaginario e distrutto un'identità fondata su casa e lavoro. Ma per qualcuno la terra non ha tremato. La terra trema sempre, ma noi ce ne accorgiamo solo quando i tremori raggiungono il rantolo. A tutti la terra appare quanto di più stabile esista sulla terra. In due mesi esatti, secondo la notizia riportata da un telegiornale nazionale che, basandosi sui dati dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, ha richiamato la ricorrenza il 6 di giugno, nell'area sismica dell'alto Appennino centrale ci sarebbero state ventimila scosse: circa 322 ogni giorno, 13 ogni ora e una ogni quattro minuti e mezzo. Da quando la terra ha tremato all'Aquila, facendo traballare l'intero Abruzzo, ogni cittadino della provincia più interna e montuosa della regione adriatica si è improvvisato esperto, o ha comunque provato a capire qualcosa dei terremoti. Nello scorrere della quotidianità ormai, dal Gran Sasso al litorale e anche sull'altro versante, non si parla d'altro. Il terremoto e le sue continue manifestazioni permeano la nuda vita, anche in forma di semplici battute scaramantiche mirate a contrappuntare l'angoscia e a esorcizzare la paura.Non c'è bisogno di scomodare Freud e la sua analisi dell'io, né la sua psicologia delle masse per comprendere la natura collettiva degli eventi sismici. Ma proprio perché ciascuno è uno, le oltre cinquantamila persone sfollate sono una, una, una... Ognuna ha una storia, e a metterle in fila ci ha pensato il terremoto. Ciascuna è una storia, e a metterle in fila non basterebbe un'intera esistenza per raccontarle. Qualcuno ci proverà, forse molti, con intenti scientifici o narrativi, tuttavia ciò che questo evento recente nasconde nella profondità degli animi non potrà emergere che a brandelli, le voci rimarranno inevitabilmente strozzate. C'è da aspettarsi che, come quando qualcosa ostacola un flusso, il dire prenda direzioni impreviste. C'è da aspettarsi che accada di tutto ma, come quando una crosta ostruisce la fuoriuscita di materiale incandescente, è certo che la terra continuerà a tremare suscitando timori e tremori, nel capoluogo e nei comuni della sua provincia, allarmando anche i centri più lontani di altre regioni. Nei pressi della città, tra gli aquilani, anche la popolazione dell'area residenziale di Pettino ha subito gravi danni, soprattutto al pedemonte, che non si sa come e in quali tempi potranno essere riparati. Prima dell'indescrivibile botto del 6 aprile, nella pianura che gravita attorno alla statale 80, sono stato per anni ospite di una famiglia a Cansatessa. Come in un arcinoto abbrivio della letteratura gialla, qui le notti estive sono dolcissime. Profumano d'erba e di tigli, di rose e di amarene, di muschio e di fiori di campo. Le stelle sembrano vagolare in un cielo più basso, sono calde e amiche, non fredde e distanti come in altri luoghi del mondo. Quando una brezza leggera agita le tende alle finestre aperte, l'aria è frizzante ma morbida per chi la conosce. Porta odori dai monti di sopra, dove gli alberi faticano ad arrampicarsi ma si radicano a una terra aspra, portando il loro rancore fino alle stanze dell'intimità. Le luci delle case, ancora non troppo numerose, si riverberano sul selciato del cortile e sul giardino, striandoli con giochi di specchi e di colori, di ombre e di figure informi alle quali si possono dare nomi e significati. Ebbene sì, le notti estive sono proprio dolcissime a Cansatessa. Ma non per noi. O almeno, ora non più, nemmeno per noi. Non c'è più il silenzio e l'immobilità della vita tranquilla, sicura, da quando "lui" è arrivato, come un urlo lacerante nella notte. Dopo il terremoto le persone che amano L'Aquila, ancora stordite, si sono accorte di avere sposato un'ombra. Ora i profumi non sono più gli stessi, le stelle si sono allontanate nel buio della volta celeste, le brezze sono diventate gelide accompagnando gli scrosci di pioggia e, alternativamente, le folate di caldo asfissiano con lunghi singhiozzi la gente sotto le tende. E, nella città più fredda d'Italia, si aspetta con preoccupazione il rigido inverno. Gli alberi sembrano ripiegarsi, rifiutando la loro fragile compagnia ai cercatori di senso, le luci assumono forme sinistre ed evocano scenari futuri impensabili, aleggia un irriconoscibile odore di morte - reale e simbolico. E l'immaginario ne risente in modi inequivocabili. La casa che non c'è più L'epoca globale ha trasformato ovunque e in modo profondo l'immaginario collettivo, incidendo anche su quello personale, mutando dunque gli orizzonti identitari. Eppure il senso di appartenenza a una "casa" resta solido, apparentemente fermo al suo posto (...). La casa che la maggior parte di noi abita, mentre per L'Aquila e dintorni si può dire che più di cinquantamila cittadini hanno abitato fino a ieri, rappresenta il luogo per eccellenza degli affetti, dei conflitti, della convivialità, dei problemi, delle soddisfazioni, degli affanni, del ristoro, del ripiegamento su sé stessi, dei progetti, delle incomprensioni, del sogno. È lì che si insinua l'appartenenza locale, connessa a un'appartenenza globale: la cellula famigliare o il singolo individuo, consapevolmente o a diversi e incompleti livelli di coscienza, intessono legami tra la casa propria e la "casa" intesa come sentirsi parte di qualcosa che supera e aggira la residenza. Mentre la prima è figlia dell'abitare, la seconda è figliastra della cultura e nasce senza concepimento, come distillato di un mistero che ha radici nel desiderio di andare oltre. Ne sanno qualcosa, e molto bene, le popolazioni rom. La casa, benché sia costruita, è in larga parte naturale; viceversa la "casa", per quanto provenga da spinte naturali, è cultura in ogni sua manifestazione. Quest'ultima casa, se viene intesa come domus, evoca la questione del dominio come implicazione etimologia del dominus dal quale essa deriva. Ma anche la casa come abitazione non è esente dall'idea di dominazione: tra le mura domestiche cresce e si rafforza l'impulso, che eccede la nostra razionalità, a controllare, gestire - dominare, appunto - i soggetti e gli oggetti, i corpi e le cose, la creatività e gli eventi nelle relazioni con gli altri e con il mondo. L'appartenenza, perciò, ha un legame profondo con l'irrazionale ma pure con le relazioni di potere, con i rapporti asimmetrici e con la possibilità di esercitare un controllo fondato sul lavoro umano. Perché è nel lavoro, non nella casa, che risiede l'origine del potere come energia che si accompagna a una conoscenza, si coniuga alle informazioni che abbiamo su chi ci circonda e ciò che ci circonda. Senza contare lo scossone più duro - la vibrante pugnalata a coloro che non ci sono più e a chi, rimanendo qui, è destinato a piangerli per sempre - gli aquilani sono stati colpiti dal terremoto soprattutto nella casa e nel lavoro. Tutto ciò ha lacerato, alterato, esasperato il loro senso di appartenenza - vale a dire l'identità nella quale, da posizioni sociali differenziate per risorse e opportunità, si riconoscevano. Ed è da queste rispettive posizioni, non neutre, che ciascuno cercherà di ricomporre o reinventare la propria appartenenza identitaria e, insieme, la sua città - se si daranno le condizioni per sentirla ancora come propria "casa". Ma questa circostanza non è detto che si verifichi, visto come finora le istituzioni preposte alla ricostruzione hanno impostato in termini progettuali e affrontato concretamente i panorami del post evento. La situazione è oggettivamente difficile, si sa, e d'altro canto sino a oggi nel nostro paese mai era accaduta una cosa del genere, con una forza che ha distrutto e ferito a morte un intero capoluogo di regione e, con esso, il suo ammirevole centro storico. Eppure lo spazio per la fantasia nelle soluzioni programmatiche e il rigore nei provvedimenti amministrativi e finanziari non è stato sfruttato adeguatamente, preferendo soluzioni frettolose e avventate. Contrariamente ai proclami e all'ottimismo propagandato con modalità artificiose, molto resta ancora da fare. L'assedio per il G8 e i problemi reali La scala delle priorità, del resto, viene invertita con inammissibile sciatteria. Stride la corsa a doppia velocità, sconcerta la spaccatura tra l'assedio per il G8, accompagnato da una sproporzionata militarizzazione del territorio, e l'assenza di attenzioni ai problemi e alle urgenze reali. Infine, ammutolisce la doppiezza dei politici, accompagnata da una cecità allarmante. L'ossessione per la sicurezza va di pari passo con la noncuranza per l'incertezza in cui vengono lasciate migliaia di famiglie. In una provincia che sta subendo un collasso economico, dove la disoccupazione aumenta perché scompaiono i posti di lavoro e dove la crisi produttiva la fa da padrone ponendo questioni cruciali per il futuro, ci si inventa la bella trovata, a dir poco grottesca, di far venire qui gli otto Grandi del mondo, allargando in tempi record e a spese dei cittadini le strade che dovranno percorrere i massimi capi di Stato e di governo, mentre le tendopoli e gli scempi nel centro storico andranno nascosti alla vista per non guastare il panorama. Del resto la vita delle persone comuni, già bloccata dalle conseguenze devastanti del sisma, subirà un altro arresto dovuto ai divieti di circolazione sugli assi viari più importanti, senza preoccuparsi di quanto offensive e ingiuriose possano apparire queste inestimabili spese agli oltre trentamila sfollati sul litorale e agli oltre ventimila alloggiati nelle tendopoli, acquitrinose o allagate in caso di pioggia battente e dove si brucia sotto il sole nei giorni più caldi. Rispetto agli strombazzamenti del G8 i problemi, anche gravi, sperimentati dalla gente comune passano in secondo piano, si conoscono poco e vengono considerati ancora meno (...).Molte scuole di ogni ordine e grado, così come l'università, si danno per praticabili e funzionanti ma non si dice come, mentre la più gran parte di esse non ha ancora trovato una sede, nemmeno provvisoria. Non accenno agli ospedali, troppo tristi e note sono le vicende che ne hanno coinvolto uno, il più nuovo e il più grande, nel terremoto. Ricordo solo che in quelli da campo, improvvisati e appoggiati a ciò che è restato in piedi nei fabbricati destinati alla cura della salute dei cittadini prima del sisma, si notano le file degli utenti più disagiati davanti a strutture sanitarie che sembrano finzioni borgesiane. Senza omettere lo stato in cui versano gli edifici privati destinati a ogni genere di attività commerciale o culturale e gli edifici pubblici che ospitavano le istituzioni preposte al funzionamento di un organismo complesso come la città. L'opinione pubblica va tranquillizzata, certo, ma sarebbe meglio non raccontarle troppe frottole (...).La stampa e le girandole mediatiche hanno a loro volta una grossa responsabilità che oggi, a luci spente, si mostra in tutto il suo muto splendore. Fino a che il chiodo era caldo, sentimenti ed emozioni espressi dalla gente sono stati sbattuti in prima pagina, individuando di volta in volta il "mostro" di cui si aveva bisogno. E l'auditel era, come lo è ora per altre notizie, sempre dietro l'angolo. Per gli scopi e nelle occasioni più diverse, stante la possibilità di altri crolli, ciascuno ha fatto allora la sua passerella con l'elmetto d'ordinanza dei vigili del fuoco o con un altro copricapo. C'è un cappello per ogni circostanza, come ben sapeva Ennio Flaiano, un abruzzese doc (...). Domenica 21 giugno, dalle undici di mattina alle dieci di sera, hanno riaperto un pezzetto del centro storico, tra la Villa comunale e piazza Duomo, collegate da un breve tratto del Corso Federico II. Una breccia temporanea ma decisiva nella cintura sanitaria di militari, vigili del fuoco, carabinieri, poliziotti, finanzieri che, per precauzione, hanno impedito l'accesso della popolazione a constatare direttamente lo stato in cui si trovava la città (...). La grancassa dei quotidiani nazionali ha parlato ancora del capoluogo abruzzese, sottolineando l'occasione per gli aquilani di poter finalmente fare una passeggiata nei luoghi della memoria, dei simboli, dell'arte. In realtà pareva un funerale, tra le macerie che si potevano scorgere al di là delle reti metalliche che sbarravano il passaggio ai vicoli laterali di quello scampolo di centro storico: musi lunghi, voci sommesse, esclamazioni accorate, discorsi tutti invariabilmente uguali. Stanchezza, incredulità, dolore, rifiuto e impossibilità di vedere un domani normale (...).Chi vive il terremoto e chi no Oggi sembra quasi di assistere a una rappresentazione: c'è chi il terremoto lo vive e lo interpreta e c'è chi assiste allo spettacolo. C'è chi ha sentito la terra tremare sotto i piedi e ha visto crollare le proprie abitazioni o i propri luoghi di lavoro, chi ha trovato sepolti sotto le macerie i suoi cari o i suoi amici e chi, almeno per un po', si è dispiaciuto e commosso di fronte alla tragedia, ma poi se n'è dimenticato perché aveva cose più urgenti a cui pensare. Il tempo fa bene il suo lavoro, è in grado di cancellare tutto, anche le guerre: come ognuno ben sa, tra queste e i terremoti spira un'aria di famiglia e, sebbene i secondi vengono dalle viscere del mondo e non dagli uomini, sono pur sempre gli uomini a poterne limitare gli effetti, sia in termini di prevenzione sia in materia di cura. In questo senso, senza trascurare tutti coloro che, venendo da ogni dove, hanno aiutato e si sono spezzati la schiena per dare una mano senza essere stati direttamente coinvolti dal sisma, bisogna ammettere che molti, e sono i più, potranno sempre dire: «La terra trema, ma non per noi». A ben vedere, se questi ultimi si interrogassero meglio, forse in loro si potrebbe insinuare almeno un dubbio - e fra i molti mi auguro che vi siano anche coloro che hanno responsabilità di governo della cosa pubblica. Si dovrebbero domandare se il controllo, la gestione, il dominio nel campo degli eventi sismici, durante il "prima" non restino una pura e semplice questione statistica legata al caso e a una natura indifferente alle umane tribolazioni che, prima o poi, potrebbe coinvolgere anche loro; e, correlativamente, si potrebbero chiedere se, quando fa capolino il "dopo", non valga la pena confrontarsi urgentemente e senza rescissioni con le necessità sociali. Eppure, da più parti, si preferisce continuare a vedere soltanto il primo corno del problema, sostenendo che il terremoto non è comunque prevedibile. Stando così le cose, perché gli esperti si ostinano a "rassicurare"? In ogni caso, dato che nulla gli uomini possono fare in anticipo per evitarlo, non resta altro da sperare che Dio e i suoi disegni non vogliano. Ma se proprio dovesse accadere, malgrado le ipotesi più ottimistiche e i necessari scongiuri, bisognerebbe augurarsi che il grande botto arrivi almeno durante il prossimo G8, per ricordare ai potenti della terra che la terra è più potente di loro.*

Immagini L'Aquila - Iconografia

l'Aquila e il contado



cardodecumanica destructa rehedificata



Immagini L'Aquila - Iconografia

la città, prima del terremoto del '700

Immagini L'Aquila - 20 giugno

Zona Rossa - via delle Bone Novelle 15


via Piave
case INCIS



NO alla Base NODALMOLIN!

http://www.youtube.com/watch?v=Bq-ri482KD0

Le morti di Serie B: S’invola la Gomorra d’Abruzzo

da www.peacelink.it 25 maggio 09 di Alessio Di Florio

........In conclusione, anche se molto potrebbe essere ancora detto, un pensiero doverosamente corre a chi sotto quelle macerie è rimasto senza nome, e rimarrà senza sepoltura. Perché, tra i tanti terribili atti di prepotenza vigliacca e criminale che sono e stanno emergendo, è emersa anche la terribile piaga dello sfruttamento dei lavoratori migranti senza documenti. Decine, forse centinaia di persone, sconosciute ai registri comunali e all’Ispettorato del Lavoro, sono morte e nessuno ha reclamato la loro salma. Inesistenti per tutti, probabilmente straziati dalle ruspe e rimossi con le macerie. Persone delle nazionalità più diverse. Riguardatevi Mare Nostrum, il film del regista RAI Stefano Mencherini o le inchieste pugliesi del giornalista de L’Espresso Fabrizio Gatti. Tornate con la memoria alla manifestazione dei migranti di Castel Volturno, sfruttati dalla camorra e oltraggiati dai megafoni del regime mediatico. Sappiate che è tutto reale, non è una fiction o un reality, e molti loro fratelli sono stati assassinati dal terremoto odierno. Sappiate che esistono anche loro. Lì dove le persone muoiono sotto la sabbia. Dove è tornato lo spettro della tubercolosi, in campi che quotidianamente scivolano verso l’inferno. Dove arriveranno presto i più grandi criminali della roboante Comunità internazionale, trafficanti di armi e speculatori sulle spalle dei poveri e degli oppressi…

scosse da gennaio a luglio 2009


ma quantu ju paga ju governu, nu kilu de aquilanu?

Se putirria penzà che é la carne deji aquilani é robba bona, de montagna. Carne biologgica, sta pure mezzu a quattu parchi. Ma invece ce tenemo recree. Se se fannu ji confronti ce accorgemu che valemo molto pocu a testa.Per esempiu vale moltu menu rispettu a quijiatri pori cristi de Umbri. Nu' non valemo forse perchè semo carne de' montagna dura, co' ji nervi. Carne che se ta ciancicà.Mo ji nummeri che jemo a vedè nun sarannu tantu precisi mà é solu pè capì qunannu valemu aju mercatu. Tantu a cunti fatti la differenza é cusci tanta che l'apprussimazio nun conta nienti.Sembra che pe' ji Umbri ci steno circa 7 miliardi in 10 anni pe' 30.000 persone. Maroni ju 15 Aprile però icea che so stati invece 12 e che tanti ce ne teneno sta pè noiatri po invece.... Comunque jete a stu situ http://www.osservatorioricostruzione.regione.umbria.it/ e facete ju confrontu co L'Aquila. Su questu nun ve ico jent'atruA L'Aquila quacchidunu ice che ce stanno circa 5,7 miliardi (ji ne so retroati 4 scarsi ma cuntinuo a cercà) pè 24 anni pè 100.000 persone.Come dì che pè ju governu n'umbru vale7/(10*30000)= 23.333 euro persona annuMentre nu' aquilanu vale5,7/(24*100000)= 2375 euroPure se cunsideremo solo 60000 sfollati tenemo:5,7/(24*100000)= 3958 euro anno personaQuindi praticamente tra 237 e 329 euro mese persona.Provete a fa ju confrontu sopra alle trattenute in busta paga e penzete che ci sta quacchiduno che pijia de chiu. Bastea forze dirottà le tasse della busta paga deji aquilani a nu funnu e pò ripartizziònà quistu a chi servea e forse se ottenea quarcosa de chiu. Ma forse cuscì ci steno meno sordi da spreca' pè ji privileggi e chiu da utilizzà a L'Aquila. Arminu se potea dì che eravamu fattu tuttu da soli. Mo invece co ju decretu ce hannu forse menu de quannu ji versemu (tutti inzieme) e tenemu pure rengrazzia ju restu deju munnu.Ma tornemu aju argumentu principale praticamente n'aquilanu pè lo statu italianu vale circa tra ju 17% e ju 10% de n'umbru. Tenemo quindi già nu termine de paragò.Facennu stu paragò se capisce perchè sino daju 6 de aprile alle 11.38 quacchidunu a ittu: "Le scosse dovrebbero essersi esaurite" e stemo invece ancora a trettecà. Forze ce voleno fa rentrà direttamente aju 6 matina.E Ancora vistu che nun valemo po' cusci tantu se spiega perchè é chiu de nu mese che stannu a ubbligà de rentrà. Costemu troppu pè quannu valemo.Nu tenemo rentrà, ma pe' ju G8 ci stannu du piani. Unu pè scappa alla prima trettecarella e Jatru de nun vinì pe'jenti.. Quiju de evacuazzio veloce prevede ji elicotteri. Pe' rassicurà tutti ji é statu ittu pure che in casu de scossa j'aereoportu é vicinu. E furtuna che la caserma é nu bunker, ci hannu fattu pure du eliporti. DU no Unu. Sarà pè scappa chiu veloce. A sintiji parlà mesà nun sannu nu caxxu che é nu terremutu. Scappeno co ji aerei... penza un pò... Me sà conviene che ji raccontemo che caxxu é nu terremotu. che nun serveno ji aerei... O me stengo a sbajia ji. Nun é che e issi tingu paura che se sprefonna tuttu!!!!!!E' statu forte quiju alla tilivisio che rivortu aji aquilani a ittu che le scosse de sti jorni so normali scosse de assestamentu e nun se tenemo preoccupa. Pò a parlatu deju G8 e pè le stesse scosse ha ittu che hannu fattu aoppruntà ji du piani. Comè a dì che nun ce capemo jenti su le scosse. Però pè non sapè nè legge e ne scrie ji aquilani so aquilani, e noitri semo noitri. Quindi rassicura gli aquilani (tantu..) scappemo noiatriSe nun me recordu male n'atru é scappatu quannu tuttu jea male un pò de anni fà, quijatru però preferi le nai.Eppure gli aquilani 'nzieme aji atri 60 milioni de italiani pagheno le tasse e quindi tenessero esse padroni dell'azienda Italia e quissi atri solu dipendenti nostri. Ma me sà tantu che ju munnu va allo cotrariu.Quindi alla fin fine le urtime du scosse hannu otternutu come risurdatu:Pe' ju G8 se so' approntati du pianui unu de evacuazzio e jatru de nun vinì.pe' ji aquilani, carne de bassa qualità, ju capu se solu preoccupatu che la gennte nun lascia le tende.Eppure se t'a esse uttimisti se t'a rentrà. A settembre tutti a casa. Scosse o non scosse. Atru che camper, container come ji atri terremotati. D'Artronde nu valemo solu ju 10% deji atri italiani.

DANCES - W.A.Mozart



menuets, german dances, kontretanz, gavotte

slovak sinfonietta, Taras Krysa

quasi finito, ma non so se lo finisco



non so se lo finisco perchè c'è un sacco di gente, alcuni morti, non si capisce dove stanno e cosa fanno... Solo il Portogallo è un bel posto....

Finito tutto!

pallosissimo romanzo sulla condizione israelita, narrata prima in un ospedale pediatrico e poi lungo una camminata di vari giorni, lungo il confine orientale di Israele.
Pare che ci siano pure posti belli, coll'acqua e i boschi. Boh!
Solo a pag. 450 ho capito che Orah è la madre di due figli Adam e Ofer, di due padri Ilan e Avram, che erano ricoverati da ragazzi tutti assieme.
Adam e Ilan stanno chissà dove; Ofer forse è morto l'ultimo giorno prima del congedo.
Insomma una storia di sfigati.... peraltro scritta benissimo! Tant'è che sono riuscito ad arrivare all'ultima pagina, senza riuscire ad abbandonarlo.

L'autore, che aveva cominciato a scrivere la storia nel 2003, ha finito il libro solo nel 2007, dopo che il figlio è morto in guerra l'ultimo giorno prima del congedo....

manifestazione 16 giugno - Roma, piazza Parlamento


Volantino della Conf. COBAS mette in guardia contro le provocazioni nei confronti del dissenso al G8