Silenzio. Su tutto, grava una coltre opprimente di silenzio. È come guardare un film, avendo tolto l’audio. Perfino le autogru enormi dei Vigili del fuoco, ti passano accanto, apparentemente senza fare rumore. E poi, il vuoto tra quello che resta di case e strade; più vuoto di un pomeriggio di metà agosto. In giro solo Vigili a piedi e macchine di servizio.
I muri delle case sono esplosi, come se centinaia, migliaia di bombole di gas fossero deflagrate. Enormi fragilissime lastre di vetro sono intatte; vasi di fiori sono rimasti sui davanzali; durissimi stipiti di marmo delle porte, giacciono a terra in briciole; serrande metalliche, contorte, appallottolate, come se un gigante fosse stato preso da uno scatto di ira.
L’appuntamento è per le 12, posto di blocco di Porta Napoli.
Sono fortunato: Maurizio deve fare un sopralluogo al palazzo della Standa.
Il sindaco vuole riaprire un percorso protetto, dalla Villa, alla Fontana luminosa.
Poche persone attendono il loro turno per entrare nella zona rossa.
I Vigili che ci sono stati assegnati arrivano puntualissimi; precisione teutonica, sono torinesi: elenco dei componenti autorizzati a entrare, verifica che ciascuno abbia il suo elmetto; controllo-radio dell’appuntamento con i tecnici della Protezione civile che attendono già sul posto di destinazione.
Si parte: uno, due, tre posti di blocco: 2 ragazze della Forestale, 2 finanzieri, 2 alpini.
Tutti discreti, calmi, inflessibili con chiunque non sia autorizzato e accompagnato.
Siamo al palazzo. La casa di Nora, lì accanto, è gravemente minacciata dai crolli della casa a fianco.
Le operazioni sono dirette da un ingegnere (donna) dei Vigili del Fuoco; inflessibile e determinata.
Si entra ad un piano per volta: per prima i Vigili (si fanno consegnare le chiavi); dopo, la terna di ingegneri della Protezione civile: milanesi, uno anziano e 2 giovani, con gli strumenti di misura e le carte.
Poi entra il proprietario o il responsabile della attività; deve dire cosa gli occorre prelevare; il direttore del supermercato, i registri contabili; il direttore della banca, soldi e 2 faldoni di documenti; gli altri attendono fuori, lontano dai cornicioni e dietro la transenna.
Passano solo mezzi di servizio; ogni tanto un pulmino di Vigili, carico di persone dirette alle loro case; si guardano intorno con lo sguardo smarrito. Ogni descrizione che si può aver ascoltato prima, non dà la portata della realtà.
Lascio gli amici ingegneri al loro lavoro; esco a piedi e da solo dalla zona rossa; devo tranquillizzare gli uomini dei posti di blocco, che subito si drizzano e si parano davanti; l’elmetto che tengo in mano, mi garantisce un aspetto da addetto ai lavori.
L’ultimo palazzo prima della Villa è quello dove abitavo.
Lo dico all’alpino del posto di blocco che è proprio lì: “Mannaggia, si dice che lo demoliranno. Vede? Io abitavo lì, al secondo piano e al piano di sotto lavorava mio padre”
“Mannaggia – mi risponde – lì c’era lo studio del mio dentista”
Scendo lungo il viale, che facevo tutto di corsa per andare dai nonni; casa di Francesco, a sinistra, e poi casa di Claudio, la chiesa di CristoRe, casa di Alfonso, casa di Gaetano, casa dei nonni, casa di Alessandra, un cumulo di macerie.
Adesso sono fuori dalla zona rossa.
Parlo al telefono con Renato: sta trasportando l’ennesimo sacco pieno di libri, di vestiti, di vita.
È stanchissimo e non ha un angolo dove riposarsi. Nella tenda, ci sono 50 gradi.
Mi ringrazia e mi rincuora.
Vado verso Collemaggio, imbocco un stradina che mi indica la basilica; so già che è un tentativo inutile e velleitario, ma vado avanti. A un tratto, dall’ombra si staccano 2 alpini; neanche un cenno, solo due passi al centro della via, mastini da guardia.
Via Strinella e poi il Torrione e poi giù giù verso piazza d’Armi: è l’unico percorso rimasto, traffico lentissimo, ingolfato, silenzioso; ai lati, ogni sorta di guazzabuglio, attività provvisorie, macerie, ombrelloni con acqua e panini; arrivo alla spianata: tendopoli, automobili, gente; le funzioni della vita urbana si mescolano con quelle dell’emergenza.
Scendo, verso la stazione.
Crolli e buchi nelle le mura, come quelli di una città medievale presa a cannonate dagli assedianti, e conquistata: dentro non c’è più nessuno.
Vado a ovest, arrivo a S.Vittorino; devo concentrarmi per riconoscere il bivio e la stradina; la casa di caccia è abitata; c’è anche una roulotte parcheggiata sul davanti e, oltre la rete, le ruspe stanno sbancando il prato per fare la bretella che unirà l’aeroporto alla Scuola della Finanza, sede del G8.
L’operaio che mi sbarra la strada mi dice che sarà pronta il 26 giugno; lavorano anche di notte.
Torno in città; ho appuntamento alle 3 con Gianfranco; alle 3 e un minuto squilla il telefono; anche da ragazzo, quando ci davamo un appuntamento, era di una precisione cronometrica, trentina, come sua mamma.
Mi porta a casa, fortunatamente intatta dal terremoto e sfortunatamente allagata dall’inquilino del piano di sopra.
Ma lui è sorridente, incrollabilmente ottimista: “mangiamo 2 biscottini e beviamo la Cocacola, sennò, che vvvoi fà!?? Tocca nutrirsi, mica te pòi abbatte’!”
Dal suo balcone si vedono le gru che stanno smontando, pietra dopo pietra, le cupole i campanili e i palazzi: il castello, s.Bernardino, il Duomo, S.Sivestro.
Mi riaccompagna alla macchina; mi dona il DVD di TV1 (gli dico che ve lo distribuirò), gli lascio i nostri 99 pensieri.
Tra poco tornerà anche lui al mare.
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