9 lug 2009

Tre mesi dal Terremoto dell’Aquila.

Nei primi giorni dopo il 6 Aprile, quanti mi telefonavano, dall’Italia e dall’estero, esordivano angosciati e chiudevano rallegrati. Successivamente, la sequenza delle tonalità delle conversazioni s’è rovesciata. Nei primi giorni, angosciati dall’eventualità di incontrare brutte notizie o addirittura il silenzio imposto dalla morte, finivano col rallegrarsi che io e i miei cari almeno la vita e l’integrità corporale le avessimo salve. Da un certo momento in avanti, hanno preso a telefonare per rallegrarsi di tutte le magnifiche notizie circolanti nel vasto mondo: l’emergenza è finita, la maggior parte delle case è abitabile, un fiume di denaro scorre nelle tasche degli aquilani, il centro storico è stato riaperto, la costruzione delle case per i senzatetto è cominciata, il G8 schiude nuovi orizzonti di gloria e prosperità radunando all’Aquila i capi dei Paesi più ricchi del mondo, etc. Per i miei interlocutori, i rallegramenti di queste telefonate finiscono con il naufragare nell’angoscioso dubbio del chi stia esagerando: se io, con i miei disilludenti retroscena, oppure governanti e mass-media, con i loro zuccherosi fuochi d’artificio. All’Aquila, il centro commerciale più importante è l’Aquilone. È stato il primo a riaprire, dopo il terremoto del 6 Aprile. Però, i visitatori potevano lasciare in sosta le automobili solo nei piazzali all’aperto. Il non meno vasto parcheggio sotterraneo era interdetto, per motivi di sicurezza.
Cioè, le autorità evidenziavano il rischio che, in ragione del perdurare delle scosse sismiche, si potessero determinare pericoli per le persone e le automobili.
Adesso che c’è il G8, questo rischio non c’è più. Adesso, le migliaia di aquilani che quotidianamente all’Aquilone vanno a far compere o a divagarsi “devono” parcheggiare solo e soltanto nei sotterranei, perché adesso l’interdizione riguarda i piazzali soprastanti. Sempre per motivi di sicurezza, ma questa volta perché dalle automobili parcheggiate su quei piazzali parrebbe possibile disturbare, aggredire, offendere o fare qualsiasi altra cosa contro l’area (per altro assai distante) in cui è ubicata la sede del G8.
La protettiva avvedutezza delle autorità, adesso, è evaporata sotto la calda carezza solare del G8. Eppure, nei novanta giorni trascorsi dal 6 Aprile, la terra s’è mossa sotto i piedi degli aquilani più di trentaduemila volte, delle quali sedici con magnitudo superiore al 4° grado della Scala Richter. Se è vero che 2 più 2 fa 4, adesso che c’è il G8 la quotazione della vita di quei quattro fessi di aquilani aggirantisi nei sotterranei dell’Aquilone è platealmente sprofondata nel nulla. Invece, come da annuncio di Palazzo Chigi, se sopraggiungesse un ulteriore 4° grado Richter, “tutti a casa”, il G8 finisce lì oppure nemmeno comincia.
Nella faraonica scuola della Guardia di Finanza riconvertita in sede del G8, in aggiunta ai 3.000 posti-letto lusso e super-lusso approntati per i capi di stato e di governo e i rispettivi seguiti, sono state allestite “tende presidenziali” per l’eventuale attesa tra “la” scossa allarmante e l’imbarco sugli elicotteri permanentemente pronti all’immediata “evacuazione” dei capi di stato e di governo.
Invece, gli aquilani restano dove stanno. Se arriva un altro 4° grado, o un altro 5° o un altro 6° o magari un qualcosa di ancor di più, per loro niente elicotteri e niente di niente. Loro, gli aquilani, sono “carne da macello”, mica capi di stato e di governo.
Il G8 traslocato dalla Sardegna è stato vantato come fonte di benefici stellari per gli aquilani.
Ovviamente, nessuno ci ha mai creduto e fatto affidamento, a parte quelli che amano lasciarsi raggirare da qualsiasi ciarlatano o commesso viaggiatore.
Tra l’altro, la scuola della Guardia di Finanza non appartiene allo Stato, perché il governo Berlusconi-Tremonti, nel 2004, l’ha ceduta a un pool internazionale di banche e società finanziarie. Lo Stato è solo un inquilino, che ogni anno paga un canone di 13 milioni di euro.
La spesa dello Stato per le ristrutturazioni effettuate in funzione dei 3 giorni del G8 si vocifera ascenda a 10 milioni di euro. Soldi buttati al vento, se dopo si torna all’addestramento di ispettori e sovrintendenti, oppure soldi regalati ai veri proprietari del sito, se dopo il G8 la Guardia di Finanza smobilita, come qualche maldicente va raccontando?
In meno di 4 settimane, è stata inventata e costruita una superstrada di quasi tre km, funzionale alle sole esigenze del G8 e costata quasi 4 milioni di euro.
Altrove, interventi urgenti e importantissimi, comportanti costi di quattro soldi, nemmeno vengono presi in considerazione:
la strada statale che collega le frazioni aquilane di Assergi e Camarda e quella che collega gli abitati di Calascio e Santo Stefano di Sessanio sono chiuse dal 6 Aprile, per via del terremoto che ha danneggiato poche centinaia di metri di entrambi i tracciati. A nessuno importa che quelle strade siano di vitale importanza per i residenti e essenziali per la ripresa di tutte le attività economiche, a cominciare dal turismo.
Gli aquilani sono “carne da macello”: si accontentino di villeggiare nelle tendopoli oppure negli alberghi in riva al mare e successivamente si rassegnino a sopravvivere in mezzo alle macerie e a campare di sussidi e carità. Lungo i percorsi previsti per le delegazioni del G8, si rifanno manti stradali, si tosano i prati, si infiorano le aiuole, si lustra e s’imbrillanta senza risparmio. Nella scuola della Guardia di Finanza, scialano alla grande gli scenografi e i designers della squadra governativa già virtuosamente sperimentata in quei santuari del pessimo gusto che sono la sala-stampa di Palazzo Chigi e, a suo tempo, l’aula del vertice Nato di Pratica di Mare. A edificazione dei Grandi della Terra, c’è pure una mostra di rarità artistico-culturali, assemblata con i criteri d’una bottega di rigattiere analfabeta e comprendente anche quello straordinario unicum che è il delicatissimo “Guerriero di Capestrano” del VI sec. a. C., strappato dall’Archeologico Nazionale di Chieti nonostante il fermissimo parere contrario dei tecnici dello Stato.
Nel cuore della città morta, invece, messi in bella vista a favore di telecamere un po’ di rabberciamenti di chiese e palazzi, non si sgombrano le strade allagate di macerie, non si recuperano e non si catalogano le decorazioni lapidee crollate, non si mettono in sicurezza le migliaia di edifici storici danneggiati, non si lavora al salvataggio di biblioteche, archivi e collezioni, non si prepara il futuro recupero strutturale e funzionale della città nel suo insieme.
Insomma, con il G8 nemmeno un centesimo arriva a beneficio dei cittadini e dell’economia locale. Se mai, arrivano restrizioni e disagi d’ogni genere, per quanto riguarda la vita quotidiana, nonché insulti d’ogni genere al buon senso e alle innumerevoli esigenze strutturali di una terra e una comunità martoriate da una tragedia che non ha pari nella storia delle città d’arte europee. Battute stralciate da un’intervista che il capo del governo ha rilasciato il 24 Giugno: «Rifaremo l’Aquila e gli altri 49 comuni. Stiamo costruendo a tempo di record appartamenti completamente ammobiliati per 15 mila persone che hanno avuto la casa distrutta. Sono io praticamente il direttore dei lavori. Domani distribuirò migliaia di computer: L’Aquila potrà aumentare di 15 mila unità gli studenti. Nessuna università al mondo potrà offrire dei campus come quelli che stiamo costruendo. Quando vado all’Aquila è per cercare di alleviare le pene di chi è nelle tendopoli. Rifaremo L’Aquila e gli altri comuni com’erano e anche più belli». A oggi, 23.000 persone vivono nelle tendopoli, 21.000 negli alberghi sulla costa e 10.000 in sistemazioni autonomamente reperite. Nei 20 quartieri-dormitorio, di cui è stata parzialmente avviata l’edificazione nelle campagne circostanti, dovrebbero trovare sistemazione, “prima dell’inverno”, 15.000 persone.
Che fine faranno le rimanenti 39.000, tenendo conto che le ottimistiche stime ufficiali classificano inagibile il 40% degli edifici delle periferie e si guardano bene dal rivelare la terrificante percentuale delle inagibilità nel centro storico? Anche questa è “carne da macello”, ovviamente. Per loro, il capitano della nave griderà (sta già gridando) “si salvi chi può”. Il che vuol dire, in buona sostanza: mettere mano al portafoglio (chi ce l’ha ben fornito), oppure emigrare, oppure affogare. Intanto, è il Far West: i prezzi dei terreni disponibili, in affitto o in vendita, crescono con rapidità esponenziale; il territorio s’imbarbarisce sotto la grandine delle casette di legno o di ferro che nessuna previdente regolamentazione incanala nell’alveo dell’armonia tra interesse pubblico e interessi privati; la grande speculazione edilizia e fondiaria sta già alacremente lucidando i suoi artigli; chi riusciva a malapena a cavarsela, dopo il terremoto incontrerà difficoltà enormemente più gravi; chi era ricco, farà soldi a palate; lo Stato finge di esserci e dopo la vetrina del G8 nemmeno farà più finta. Se le cose restano come appaiono adesso (e non c’è appiglio per immaginare mutamenti), andrà a finire ancora una volta come racconta Ignazio Silone a proposito del terremoto di Avezzano del 1915: «Nel terremoto morivano ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d’ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della convinzione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopo-guerra». (Nota biografica a cura di Goffredo Palmerini)
(*) Errico Centofanti, giornalista e scrittore, è stato uno dei fondatori del Teatro Stabile dell’Aquila

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