Teresa Corona
La Sardegna dice no al nucleare su "il Manifesto", 17 mag.
La Sardegna dice no al nucleare, forte e chiaro, con una
maggioranza quasi bulgara che arriva al 97,64 per cento. Era importante
il test della piccola isola in mezzo al Mediterraneo, amministrata dal
figlio del commercialista di Berlusconi «Ughetto» Cappellacci. Il primo
referendum in Italia dopo il disastro di Fukushima e soprattutto dopo il
retromarcia clamoroso imposto dal governo nazionale.
Il governatore Cappellacci, però, sorprendendo tutti, ha scelto per una volta di dire no al governo «amico» targato Berlusconi: i sardi andranno al voto lo stesso, aveva affermato sicuro nei giorni caldi dello stop. C'è da dire che il voto di ieri, pur confermando una volontà netta e chiara, ha solo valore consultivo. Per capirci, se dopodomani l'esecutivo invertisse la rotta e decidesse di far arrivare una centrale atomica nell'isola, non conterebbero nulla i voti contrari. Sta di fatto che comunque Ugo Cappellacci, almeno in questo caso, è andato per la sua strada. Forse perché anche lui, dopo il G8 scippato e la sparizione dei fondi Fas ancora bloccati, ha iniziato a diffidare delle promesse del premier. O forse anche perché, vista la mobilitazione popolare che aveva incendiato l'oristanese quando nel novembre dell'anno scorso il sito di Cirrus era stato considerato tra i papabili per lo stoccaggio delle scorie, temeva la reazione dei sardi. Così il governatore ha promosso e sponsorizzato il referendum consultivo regionale. E i sardi hanno risposto in massa dicendo no almeno dall'atomo: già dalle 22 di domenica sera era chiaro che il quorum (era necessario almeno il 30%) sarebbe stato abbondantemente superato. Ieri i dati ufficiali raccontano di un 59,34% che si è espresso, con picchi del 61,39 nella provincia di Cagliari e del 65 in quella di Carbonia e Iglesias. La Sardegna è comunque la prima regione italiana ad aver dato la parola agli elettori che hanno rifiutato non solo le centrali nucleari ma anche i siti di stoccaggio delle scorie. Cappellacci da parte sua tenta di appropriarsi questa schiacciante vittoria. Una mossa strategica con cui spera di risollevare le sorti della sua giunta traballante, tenuta insieme più dallo scambio di poltrone che da un progetto politico serio.
A fare la differenza sarà comunque il risultato di questa tornata amministrativa, dove in ballo ci sono due roccaforti della destra potente, quella che conta, legata dagli affari e dal cemento. Cagliari e Olbia, dove il centro destra si presenta diviso e dilaniato dalle lotte interne. Cappellacci dunque, pur sostenendo una battaglia buona e giusta, aveva bisogno come il pane di questa vittoria indiscutibile contro il nucleare. Solo così può ancora dire al popolo sardo che, in fondo in fondo, anche lui si è battuto per tutelare i loro interessi. Certo è che l'isola attraversa una crisi senza precedenti: le industrie, quelle poche che c'erano, sono pronte a smantellare e a chiudere i battenti e la pastorizia, colonna portante dell'economia isolana, è sul piede di guerra. Un disastro, che si traduce in un'emorragia interminabile di posti di lavoro al quale la giunta ha reagito spargendo briciole a ogni settore in crisi senza risolvere i problemi strutturali. Il risultato sono scioperi e proteste che fanno tremare i palazzi del potere (ultima quella dei «tartassati di Equitalia», erano in quindicimila) perché potrebbero tradursi in un calo di consensi. E a quel punto anche i fedeli alleati (Psd'Az e Udc) potrebbero decidere di abbandonare la barca che affonda. Sono lontani i tempi in cui Cappellacci al fianco di Berlusconi invitava i sardi a sorridere promettendo centomila posti di lavoro.
Il governatore Cappellacci, però, sorprendendo tutti, ha scelto per una volta di dire no al governo «amico» targato Berlusconi: i sardi andranno al voto lo stesso, aveva affermato sicuro nei giorni caldi dello stop. C'è da dire che il voto di ieri, pur confermando una volontà netta e chiara, ha solo valore consultivo. Per capirci, se dopodomani l'esecutivo invertisse la rotta e decidesse di far arrivare una centrale atomica nell'isola, non conterebbero nulla i voti contrari. Sta di fatto che comunque Ugo Cappellacci, almeno in questo caso, è andato per la sua strada. Forse perché anche lui, dopo il G8 scippato e la sparizione dei fondi Fas ancora bloccati, ha iniziato a diffidare delle promesse del premier. O forse anche perché, vista la mobilitazione popolare che aveva incendiato l'oristanese quando nel novembre dell'anno scorso il sito di Cirrus era stato considerato tra i papabili per lo stoccaggio delle scorie, temeva la reazione dei sardi. Così il governatore ha promosso e sponsorizzato il referendum consultivo regionale. E i sardi hanno risposto in massa dicendo no almeno dall'atomo: già dalle 22 di domenica sera era chiaro che il quorum (era necessario almeno il 30%) sarebbe stato abbondantemente superato. Ieri i dati ufficiali raccontano di un 59,34% che si è espresso, con picchi del 61,39 nella provincia di Cagliari e del 65 in quella di Carbonia e Iglesias. La Sardegna è comunque la prima regione italiana ad aver dato la parola agli elettori che hanno rifiutato non solo le centrali nucleari ma anche i siti di stoccaggio delle scorie. Cappellacci da parte sua tenta di appropriarsi questa schiacciante vittoria. Una mossa strategica con cui spera di risollevare le sorti della sua giunta traballante, tenuta insieme più dallo scambio di poltrone che da un progetto politico serio.
A fare la differenza sarà comunque il risultato di questa tornata amministrativa, dove in ballo ci sono due roccaforti della destra potente, quella che conta, legata dagli affari e dal cemento. Cagliari e Olbia, dove il centro destra si presenta diviso e dilaniato dalle lotte interne. Cappellacci dunque, pur sostenendo una battaglia buona e giusta, aveva bisogno come il pane di questa vittoria indiscutibile contro il nucleare. Solo così può ancora dire al popolo sardo che, in fondo in fondo, anche lui si è battuto per tutelare i loro interessi. Certo è che l'isola attraversa una crisi senza precedenti: le industrie, quelle poche che c'erano, sono pronte a smantellare e a chiudere i battenti e la pastorizia, colonna portante dell'economia isolana, è sul piede di guerra. Un disastro, che si traduce in un'emorragia interminabile di posti di lavoro al quale la giunta ha reagito spargendo briciole a ogni settore in crisi senza risolvere i problemi strutturali. Il risultato sono scioperi e proteste che fanno tremare i palazzi del potere (ultima quella dei «tartassati di Equitalia», erano in quindicimila) perché potrebbero tradursi in un calo di consensi. E a quel punto anche i fedeli alleati (Psd'Az e Udc) potrebbero decidere di abbandonare la barca che affonda. Sono lontani i tempi in cui Cappellacci al fianco di Berlusconi invitava i sardi a sorridere promettendo centomila posti di lavoro.
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