24 ott 2011

Alla fine ci salva sempre la cara vecchia agricoltura

Di Carlo Petrini, 23.10.2011
«Per garantire il futuro non sarà tanto questione di quali tecnologie ci inventeremo, ma in quale paradigma le vorremo calare». La Repubblica, 22 ottobre 2011

Premettendo che ogni previsione su come sarà il mondo tra duecento anni è un esercizio che si lascia volentieri ai premi Nobel, la visione nel nuovo libro di Robert B. Laughlin offre spunti interessanti. Il tema è l´energia, ma soprattutto l´agricoltura. La tanto bistrattata agricoltura, ritenuta da moltissimi un settore marginale, data così tanto per scontata da essere trascurata, lasciata per troppo tempo e con troppo potere in mano a un sistema agroindustriale globale che ha finito con il metterla in ginocchio, prima nei paesi poveri e ora anche in quelli ricchi. E sempre con effetti nefasti per ambiente, contadini e consumatori.

Laughlin sostiene che tra due secoli l´agricoltura sarà fondamentale per continuare a garantirci la vita. Dice che il settore agricolo sarà il principale produttore di energia nell´era post-fossile. L´idea di coltivare oceani e deserti per non far entrare in competizione cibo ed energia è molto affascinante e neanche tanto fantascientifica. Però bisogna ricordare che il cibo stesso è energia, perché ci nutre e ci fa muovere e perché cresce grazie alla fotosintesi clorofilliana, dunque all´energia del sole. L´agricoltura è sempre stata, lo è oggi e sempre sarà ciò che ci garantisce la vita.

Una volta presa coscienza di questo assunto banale ma un po´ troppo spesso dimenticato, va però fatto un discorso su come dovrebbe essere l´agricoltura del futuro. Che si debba cambiare profondamente, che la si debba rinnovare è un atto dovuto anche per il palese fallimento del modello intensivo-industriale che ha dominato l´ultima metà di secolo. Che l´interazione tra produzione di cibo e produzione di energia sia già nelle cose è dimostrato poi da come facilmente molte aziende agricole facciano già le due cose insieme. Il problema è che quando prevalgono la concentrazione, l´inseguimento di presunte economie di scala, l´idea per cui l´agricoltura è come uno qualsiasi dei settori industriali - e risponde alle stesse leggi economico-produttive - cibo ed energia saranno sempre in competizione tra di loro. Non bisogna fare "cibo o energia", ma "cibo e energia". Potremo coltivare gli oceani, i deserti e anche gli altri pianeti, ma senza cambiare il nostro modo di pensare continueremo sempre a risolvere un problema creandone un altro.

Sono sicuro che ci saranno innovazioni importanti in campo energetico, e tecnologie sempre più pulite per sfruttare direttamente o indirettamente l´energia solare (l´unica vera, enorme, sicura, perenne centrale che ci fa piovere addosso, in ogni momento, enormi quantità di energia) con tutte le forme che ne derivano. Ma ci vorrà la consapevolezza che tutto questo andrà realizzato in un sistema complesso che non dovrà più essere governato in maniera centralizzata. Ci vorrà un sistema capillare, diffuso, in cui le comunità e le persone diventano produttrici di cibo ed energia prima di tutto per se stesse e poi per gli altri, in rete tra di loro. È necessaria una democratizzazione della produzione energetico-agricola, con tecnologie accessibili che si diano come obiettivo primario la sostenibilità dei processi e non la possibilità di realizzare speculazioni. Già ora vediamo come biogas e fotovoltaico, che potrebbero essere dei modi perfetti per integrare la produzione agricola a livello aziendale, in nome del profitto e dei grandi numeri possano diventare altamente insostenibili, ponendosi come alternative, e non complementari, a un´agricoltura che così com´è risulterà sempre perdente, siccome non riesce più a generare entrate dignitose per i contadini. Per garantire il futuro non sarà tanto questione di quali tecnologie ci inventeremo, ma piuttosto in quale paradigma le vorremo calare.   

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