di Francesco Indovina «Si può fare a meno del fallimento dell’Italia! Vediamo un po’»Sbilanciamoci newsletter, 26 novembre 2011
C’è un po’ di terrorismo in chi è contrario al fallimento nel
descriverne gli effetti. Mi è chiaro che giungere a una qualche forma di
fallimento non è come bere una tazza di caffè, ma il problema non è
questo, il tema è: se ne può fare a meno? Una risposta a questo
interrogativo presuppone una qualche considerazione sulle trasformazione
del capitalismo. Un po’ mi devo ripetere, mi scuso.
Si sostiene che la crisi attuale è una crisi da eccessiva capacità
produttiva e da mancanza di domanda solvibile. Due osservazioni: da una
parte questa interpretazione è contraddittoria con l’osservazione che la
crisi prende corpo da un eccesso di domanda a “credito”, quindi non la
domanda ma la sua finanziarizzazione è il problema; dall’altra parte è
vero che c’è una crisi di domanda dato che la popolazione viene
continuamente tosata per far fronte alle ingiunzioni della finanza.
È necessario riflettere che la finanziarizzazione dell’economia non è
solo una evoluzione del capitalismo ma la modificazione della sua
natura. Il processo è passato dalla proposizione denaro-merce-denaro
(D-M-D), attraverso il quale il capitale, con una distribuzione non equa
del valore prodotto tra capitale e lavoro, accumulava ricchezza, a
quella odierne denaro-denaro-denaro (D-D-D), che senza la “mediazione”
della produzione di merci (e servizi), permette di accumulare ricchezza
(in poche mani).
Si rifletta sui seguenti dati mondiali: il PIL ammonta a 74.000
miliardi; le Borse valgono 50.000 miliardi; le Obbligazioni ammontano a
95.000 miliardi; mentre gli “altri” strumenti finanziaria ammontano a
466.000 miliardi. Risulta così che la produzione reale, merci e servizi
(74.000 miliardi), è pari al 13% degli strumenti finanziari. Quanto
uomini e donne producono, in tutto il mondo, rappresenta poco più di
1/10 del valore della “ricchezza” finanziaria che circola. Questo dato
quantitativo ha modificato la qualità dell’organizzazione economica:
mentre resta attiva la parte di produzione materiale si è sviluppata
un’enorme massa di attività finanziaria che mentre trent’anni fa lucrava
sul “parco buoi”, nome affibbiato a chi affidava alla borsa i propri
risparmi nella speranza di arricchirsi, ora lucra sui popoli che da una
parte sono sottoposti a una distribuzione non equa di quanto producono
(gli indipendenti sono poco tali e sono entrati nella catena allungata
del valore aggiunto) e, dall’altra parte, sono tosati (più tasse e meno
servizi) in quanto cittadini.
Si tratta di un mutamento che investe la produzione, la distribuzione
della ricchezza, ma anche il processo politico e la stessa, tanta o poca
che sia, democrazia. Quando la ricchezza si produce attraverso la
mediazione della merce era attiva dentro lo stesso corpo della
produzione, una forza antagonistica che cercava di imporre una diversa
distribuzione della ricchezza prodotta e l'affermarsi di diritti di
cittadinanza. Nessun regalo, conquiste frutto di lotte, di lacrime e
sangue. Al contrario quando diventa prevalente il meccanismo
finanziario, si scioglie il rapporto tra capitale e società, e diventa
impossibile ogni antagonismo specifico. Tutto si sposta sul piano
politico, un bene e un male insieme. Un male perché manca una cultura
alternativa, tutti viviamo entro la dimensione liberista e del mercato,
un bene perché è possibile andare alla radice del problema.
È diventato senso comune che il mercato (finanziario) vuole sicurezza e
credibilità! È una parte molto modesta della verità. La speculazione
finanziaria da se stessa, data la massa di risorse che muove, e le
tecnologie che usa (gli High Frequency Trading – HFT – che muovono due
terzi delle borse), si crea autonomamente le occasioni di successo per
speculare. Come ha scritto Prodi “i loro computer scattano tutti
insieme, comprano e vendono gli stessi titoli e forzano in tal modo il
compimento delle aspettative”. Contrastare la speculazione, come lo si
sta facendo, significa solo offrirle alimento continuo. Si può fare più
equamente, e sarebbe importante, ma questo non intaccherebbe il
meccanismo. Bisogna colpire direttamente la speculazione al cuore,
toglierle l’acqua nella quale nuota. Certo che ci vorrebbe un’azione
comune a livello internazionale, ma l’elite politica e tecnica è figlia
ideologica, qualche volta non solo ideologica, del liberismo e della
finanza; ambedue si possono “criticare” ma non toccare, bisogna farli
“operare meglio”. Come ha scritto Halevi, le maggiore banche tedesche e
francesi sono piene di titoli tossici, messi in bilancio al loro valore
nominale mentre valgono zero, ma il sistema (la governance europea
franco-tedesca) difende le banche tedesche e francesi, mettendo in primo
piano i debiti sovrani e le banche dei paesi sotto tiro (e quando
toccherà alla Francia? Perché toccherà!).
In sostanza il sistema non si tocca; si possono punire, anche
severamente, come in America, chi la fa grossa, ma poi si finanziano le
banche, né si riesce a mettere una qualche freno (amministrativo,
fiscale, legislativo, ecc.) alla speculazione. Come l’apprendista
stregone che non riesce a gestire le forze che ha scatenato.
Non voglio dire che il sistema è al collasso, ma è sulla strada; ci
vorrà tempo (anche secoli secondo Ruffolo) e ci vorranno forze, ma si
coglie “una condizione di insoddisfazione diffusa, di generale
incertezza e di sfiducia e timore del futuro”.
La Grecia ha fatto tutto quello che le era stato richiesto,
licenziamenti, diminuzione di stipendi, tagli, ecc. ed è giunta, di
fatto al fallimento (controllato). La speculazione finanziaria ha
aggredito la Grecia, ha tosato la popolazione, ha scarnificato la
società. Il furbo Papandreu ha tentato la mossa democratica del
referendum, è stato redarguito, bastonato ed ha fatto marcia indietro.
Oggi tocca all’Italia (un po’ alla Spagna, domani la Francia, nessuno è
al riparo. La finanza non ha patria, non ha terra, non ha sangue), che
si appresta (con serietà, si dice) a seguire le richieste della Banca
europea, del Fondo monetario, della Commissione della UE, cioè di fatto
della finanza, per scivolare lentamente in una versione diversa della
Grecia. Ha senso? Certo che no, ma la questione è: ha senso una politica
keynesiana? Ha senso una più equa distribuzione dei sacrifici? Ha senso
pensare a risposte più “riformiste” e civili alle indicazione della
Banca europea? Ha senso pensare ad operation twist (di che dimensione
dato l’ammontare del debito italiano), proposta da Bellofiore e
Toporowski? senza con tutto questo intaccare il potere e la capacità
operativa della speculazione (che costituisce parte strutturale del
sistema)?
Credo di no, e mi domando: è necessario continuare ad avere la Borsa che
ha perso ogni originale funzione? È possibile dividere le banche che
fanno finanza da quelle della raccolta e collocamento del risparmio? È
possibile avere una banca europea che operi come una banca nazionale? È
possibile avere un governo europeo, non solo economico ma generale? È
possibile tassare le rendite e i patrimoni? Ecc. Tutto è possibile ma
poche cose sono probabili.
Qual è l’ottica con la quale un governo di centro-sinistra (che si dice
probabile) deve guardare alla situazione? Certo c’è da ricostruire il
senso della società, come dice Rosy Bindi, c’è da ricostruire un ruolo
internazionale, c’è da rilanciare lo sviluppo (sostenibile, equilibrato,
ambientale, risparmiatore, ecc. lo si qualifichi quanto lo si vuole),
c’è da affrontare il problema del lavoro di giovani, donne, precari,
disoccupati, c’è da occuparsi di scuola, sanità, territorio, ecc. La
domanda è: tutto questo è fattibile insieme al pagamento del debito?
Qualcuno (Amato) parla di una patrimoniale di 300-400 miliardi per
ridurre drasticamente il debito. Bene, ma tutto il resto come lo si fa?
Sacrifici, per piacere no, riforme impopolari per piacere no, e non solo
per collocazione politica ma perché inutili e dannosi per fare tutte le
cose elencate prima.
Penso che bisogna mettere mano al debito. Il come, dipende da volontà e
forza: un concordato con i creditori (via il 30%); una moratoria di 3-5
anni; differenziato rispetto alle persone fisiche e alle istituzioni (le
banche che hanno in bilancio titoli tossici potrebbero benissimo
tenersi anche i titoli sovrani, con buona pace del Cancelliere tedesco),
ecc. La patrimoniale certo che ci vuole, ma dovrebbe servire ad avviare
tutte le altre cose, così come una ristrutturazione della spesa
pubblica (spese militari, ecc.) potrebbe liberare risorse. Mentre la
lotta all’evasione (mancati introiti per 120 miliardi l’anno) e alla
corruzione (60 miliardi l’anno) potrebbero servire alla diminuzione
delle imposte dei lavoratori. Insomma ci sarebbe tanto da fare, ma
bisogna in parte, in toto, o per un certo numero di anni, liberarsi del
debito.
Non dovrebbe essere una iniziativa europea? Certo, ma in sua mancanza
facciamo da soli, non c’è da salvare una astratta Italia, ma una
concreta popolazione di uomini e donne. Questo è il tema.
Oggi ci avviamo al governo del “grande” Mario; che si tratti di persona
onesta e retta è molto probabile, ma è il suo pensiero che preoccupa, un
pensiero tanto forte quanto inefficace.
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