29 dic 2011

IL DIRITTO ALL'ORTO

di Marco Legramanti e Chiara Cravotto

Quello che sino a qualche decennio fa si poteva considerare parte integrante della vita  di una famiglia oggi diventa una conquista per tutti coloro che non dispongono di un pezzo di terra, piccolo o grande, per dare vita alle coltivazioni che generalmente si collocano nella produzione per autoconsumo. Parliamo di orti, affrontando l’argomento nel senso pratico della questione senza toccare le sfumature che fanno da contorno a questo tema; eviteremo pertanto di parlarne come momento legato ad una moda che fa tanto ”in”, soprattutto vissuto da alcune persone, e come letteratura, visto che gli scaffali delle librerie si sono riempiti di testi tematici legati all’argomento spaziando dalla terapia alle metodologie di coltivazione. 
La ricognizione storica evidenzia che l’orto accompagna l’uomo da migliaia di anni: urbanizzato o in area rurale ha sicuramente contribuito al sostegno di gruppi familiari ed intere comunità in tutti i momenti della storia, sia in periodi di pace, prosperando, sia in periodi di guerra e di recessione. Il valore sociale ed etico in questo rapporto naturale che lega l’uomo e la terra non è discutibile e sicuramente è talmente saldo che lo si incontra, in maniera più o meno radicata, in tutte le realtà del pianeta senza distinzione di Paese, a prescindere dal proprio indice di sviluppo umano. 
Il passaggio, negli ultimi decenni, da quello che era il classico orto in campo all’orto sul balcone, sul terrazzo ed in aree dismesse delle città ha confermato la volontà da parte di coloro che vivono in insediamenti urbanizzati di continuare a mantenere un legame con la terra cercando di non disperdere le conoscenze e le tecniche di coltivazione acquisite. Un
sapere che nella maggior parte dei casi si è tramandato tra generazioni. Sfatare il mito che orto è sinonimo di anzianità è dimostrato sia dall’approccio sia dalla costanza riposti in questa attività, prettamente manuale, dalle varie fasce sociali e di differenti età coinvolte. Sovente, inoltre, si sono ritrovati valori importanti che si scontrano con l’attuale stile di vita consumistico. La frustrazione del quotidiano, appesantita oggi da una situazione economica e un modello di vita frenetico e preoccupante, i cui riflessi condizionano notevolmente la routine, ci pongono la necessità di rivedere alcuni stili di vita ed ambizioni che probabilmente sono da considerarsi falliti, cercando un rapporto collettivo che permetta a tutta la comunità, sia urbana sia rurale, di ricostruire quella società civile di cui tutti abbiamo bisogno per edificare un sistema di convivenza che sia etico ed umano.
A Chiasso (CH) un'area degradata è stata riqualificata attraverso l'esperienza degli Orti Condivisi, orti che l'Amministrazione Comunale ha assegnato non solo alla fascia più anziana della popolazione, ma anche a famiglie, singles, persone provenienti da altri Paesi. Una riqualificazione territoriale e umana dunque, un'occasione di incontro tra generazioni e culture diverse, perché attraverso i gesti semplici e secolari del zappare la terra, seminarla, irrigarla, raccoglierne i frutti è più facile comunicare anche tra lingue diverse e creare scambi interculturali diventa allora più semplice di tanti complicati progetti di integrazione. E' come se tornare alla semplicità del nostro rapporto con la natura ci aiutasse anche a ricercare e a ritrovare la qualità essenziale nelle relazioni. 
Appropriarsi, come società civile, dei beni comuni attraverso un recupero culturale a difesa del collettivo significa sensibilizzare le istituzioni a rivedere l’utilizzo di questi beni in maniera più consona alle esigenze attuali, soprattutto in un momento di difficoltà economica e di incertezza per il futuro. Il “diritto all’orto” è una proposta ma anche una provocazione e vuole essere uno stimolo alla riflessione per coloro che sono preposti alle decisioni riguardanti la collettività soprattutto per un utilizzo diversificato degli spazi comuni. 
Occorre rivalutare le aree urbane dismesse e abbandonate, dove sovente nascono orti abusivi in balia dei predatori, ma anche rivedere il concetto di parco cittadino che potrebbe tranquillamente essere condiviso da diverse fasce di età, bambini per il gioco e lo svago, animali da compagnia, relax per coloro che durante la giornata cercano una pausa e perché no, coltivatori di orto.
Si realizzerebbe così un presidio giornaliero eterogeneo per esigenze e necessità ma sicuramente stimolante. Un interscambio di saperi che permetterebbe di creare aree ricche di una cultura diversa e stimolante. Sostenere in maniera forte e decisa il riordino di queste aree con l’obiettivo di riappropriarsi in forma diversa degli spazi verdi vuole dire spronare le amministrazioni comunali ad intervenire ulteriormente a favore di politiche sociali in forma concreta e solidale dando un supporto anche a coloro che oggi hanno la necessità di una reale integrazione al reddito eroso da una crisi non certo creata dalle fasce più deboli o che si sta indebolendo. 
Sostenere nuclei familiari che improvvisamente si ritrovano a convivere con ammortizzatori
sociali a sostituzione di un reddito, o con la perdita totale di un reddito, assegnando un’area coltivabile, significa anche offrire un supporto psicologico abbattendo la frustrazione che in genere affiora in queste situazioni. E’ un investimento di cui la società civile deve farsi carico per un bene comune che non è solo il riassetto di spazi urbani o extraurbani ma è un insieme di tasselli che formerebbero un puzzle dove si intrecciano diversi percorsi, culturali, sociali e soprattutto in una visione totalmente differente del condividere.
                    * ortiinmovimento@gmail.com