Sono andato via dalla mia città perché da ragazzo mi andava stretta, perché mi soffocava quella borghesia piccola piccola che fa morire i sogni e le idee, perché volevo conoscere quello che c’era oltre la cima delle montagne, perché volevo essere libero di decidere ma fuori dagli schemi. Sono passati molti anni … troppi. Ho visto, ho conosciuto, ho vissuto … e ho deciso di tornare, per sempre. Non so quando ma lo farò. E lo farò perché devo farlo, perché mi sento in debito con la mia città e con la mia gente, perché ho nostalgia di loro. Perché ho nostalgia del casino sotto i portici, dei vicoletti che ti fanno da scorciatoia quando hai fretta, del profumo della pizza a tutte le ore del giorno, del caffè pomeridiano nei bar del centro, delle luci gialle che avvolgono il riposo di piazza Duomo, delle lunghe chiacchierate notturne che ti fanno battere i piedi a terra per il freddo. Ora tutto questo non esiste più, vive solo nel ricordo ma non è un ricordo sbiadito perché dentro di me vive come la più sfrenata delle passioni, carnale e irresistibile. Tornare a vivere in questa città significa essere pazzo? E chi se ne frega! Rispetto i pazzi perché dicono quello che pensano e ho sempre creduto che i pazzi potevano essere tutti gli altri, quelli che non la pensano come me, quelli che non amano le strade in salita e con le curve … ma io sono aquilano e le strade di montagna non mi spaventano, fanno parte della mia natura. Non mi sento un romantico idealista o un cane randagio bramoso di frugare nella spazzatura della città abbandonata. Mi sento un aquilano che vuole riprendersi la sua città, perché L’Aquila è stata fondata dagli Aquilani quando regnava l’immobilismo del papa e dei re, perché mi viene rabbia quando la mia gente – che oggi ha imparato anche ad aspettare troppo – grida “Ridateci le ali che torneremo a volare”, perché mi fa male quando leggo che L’Aquila diventerà la Pompei del terzo millennio e mi fa male perché non l’accetto come una verità, questa è una mezza verità o peggio è una verità distorta. Pompei è una città morta, pietrificata. Le sue case sono pietrificate, i suoi animali sono pietrificati, i suoi uomini, le sue donne, i suoi vecchi e i suoi bambini sono pietrificati, i suoi oggetti sono pietrificati invece all’Aquila di pietrificato c’è solo il cuore di chi non ha mai avuto una coscienza (né prima né dopo il 6 aprile) e ogni volta che tra le macerie della mia città incontrerò una mamma con il pancione che sorride alla vita, una coppietta di adolescenti che si giura l’amore eterno con un bacio appassionato o una donna forte che asciuga le lacrime del suo uomo nessuno potrà convincermi del contrario: L’Aquila non diventerà mai una Pompei, neanche in questo millennio, almeno per i pazzi come me.
Un pezzo scritto col cuore, mi ricorda qualcosa...
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